Massimo Recalcati "La Pasqua sconfigge il nulla: la lezione laica della resurrezione"
La Stampa, 9 Aprile 2023
Nella tradizione cristiana la Pasqua celebra la risurrezione di Gesù Cristo. L'esperienza della morte
sulla croce viene riscattata da quella della vita che ritorna in vita dopo la sua fine dando definitiva
morte alla morte. Quale lezione laica possiamo ricavare da questo racconto? Innanzitutto la Pasqua
cristiana presuppone l'esperienza dell'abbandono assoluto: la notte del Getsemani e il supplizio della
crocifissione precedono l'avvento della risurrezione. È questo un primo grande insegnamento:
l'esperienza della caduta e della sconfitta – di cui la morte è la figura più definitiva e scabrosa – non
può essere aggirata, sebbene non sia l'ultima parola possibile sulla vita. È la lettura che Walter
Benjamin dà dell'Angelo della storia: il movimento inesorabile del tempo storico che lascia alle sue
spalle macerie e distruzione non può non tenere conto della necessità di dare agli sconfitti e a tutti
coloro che sono stati vittime dell'ingiustizia una possibilità di riscatto e di speranza. Per questo lo
sguardo dell'Angelus novus resta rivolto all'indietro: il progresso irreversibile della storia non può
dimenticare gli ultimi, gli esclusi, i dannati della terra.
Se riprendiamo alla lettera il racconto evangelico della risurrezione, troviamo al centro del mistero
pasquale la scoperta del sepolcro vuoto. Per Michel de Certeau è la cifra più fondamentale del
cristianesimo: l'assenza del corpo di Cristo descrive una forma radicale della presenza, una sorta di
magnete che genera desiderio, parola, scrittura, vita. Il vuoto del sepolcro ci costringe a cercare
Gesù tra i vivi e non tra i morti. È questa un'altra lezione fondamentale della Pasqua cristiana: esiste
sempre un resto indistruttibile – eternamente vivente - in ogni morte. Sempre, qualcosa di chi non è
più con noi, resta con noi. Un grande filosofo, recentemente scomparso, ha lasciato ai suoi cari un
biglietto di congedo con scritto: "portatemi con voi". Non chiede di essere rimpianto o compianto
come un morto tra i morti, ma di essere portato come vivo da chi è ancora vivo. Lezione essenziale
che si combina con un'altra altrettanto decisiva: come si può restare fedeli all'evento che ha
cambiato la nostra vita? Per i suoi discepoli, Gesù è stato, infatti, questo evento. La sua morte
impone il problema della sua eredità. Accade per ciascuno di noi: sono stato fedele all'incontro che
ha cambiato la mia vita? L'incontro con un amore, con un maestro, con un ideale, con una
vocazione? Ho vissuto coerentemente con quell'incontro, con la decisione necessaria,
assumendomene pienamente il rischio? Oppure ho tradito, ho voltato le spalle, ho ripudiato
quell'evento? Il nostro tempo non crede più nel carattere inaudito dell'incontro. Più che un episodio
sovrannaturale - la rianimazione di un morto – la risurrezione è un evento che rompe la nostra
rappresentazione ordinaria della vita e della morte. È possibile che qualcosa resti indistruttibile, che
nemmeno il potere della morte sia in grado di distruggere? È possibile che un vuoto – quello del
sepolcro nel racconto cristiano – divenga motore di un desiderio, di una vita nuova? Nell'immagine
benjaminiana dell'angelo della storia, gli innumerevoli morti caduti nell'ingiustizia e nell'oblio
attendono ancora di essere riscattati. I loro resti continuano ad ardere come braci che non si
spengono. Accade con tutti i nostri innumerevoli morti, quelli che abbiamo amato e perduto. La
risurrezione di Gesù mostra il carattere indistruttibile di ciò che resta. È un grande tema biblico che
unisce la Torah ai Vangeli: è solo in ciò che resta - nella pietra di scarto - che dobbiamo vedere la
possibilità di un nuovo inizio. Le apparizioni di Gesù dopo la sua morte di fronte ai suoi discepoli
abbattuti per la perdita del loro maestro, hanno il potere di riattivare il loro desiderio rendendo più
forte la loro fede. Queste apparizioni non devono essere lette come delle suggestioni psicologiche o
dei fenomeni soprannaturali, perché sono il ritorno di chi se n’é andato da questa vita, ma continua
a restare con noi. Possiamo leggerle come un appello a restare fedeli a ciò che è stato per noi
l'evento dell'incontro. Si tratta di un appello al quale è necessario rispondere per non lasciare alla
morte l'ultima parola. Per questo Paolo di Tarso poteva affermare che «se Cristo non è resuscitato,
allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede». È solo la fedeltà all'evento a
rendere l'evento ancora vivo. Ogni incontro degno di questo nome è il nome di qualcosa che non
smette di risorgere, di venire alla luce, di bruciare, di essere sempre con noi.
La resurrezione
cristiana non è allora la proiezione di un desiderio illusorio di immortalità che rinvierebbe ad una
felicità ultraterrena, ma un evento che esige fedeltà. Il nostro tempo che ha decapitato l'esperienza
della trascendenza e del mistero, non può pensare alla risurrezione se non come a una storia
consolatoria a lieto fine. Il nostro tempo non concede più spazio all'evento irripetibile dell'incontro
che può rendere la vita nuova. L'evento della risurrezione ci invita, invece, a pensare che è ancora
possibile dire, come ricordava Gabriel Marcel, a qualcuno che si ama profondamente: «Tu non
morrai!». È la lezione più profonda della Pasqua cristiana: contro la spietata evidenza del nulla, il
risorto ci ricorda che qualcosa può restare, che non tutto quello che è stato è destinato a divenire
nulla.