Enzo Bianchi "Anche la Chiesa conosce il male"
Cinquant’anni fa nella chiesa cattolica iniziava un nuovo cammino: quello dell’assunzione di colpe e responsabilità, della confessione dei peccati gravissimi commessi nella storia e quindi della richiesta di perdono.
Fu Paolo VI a intervenire per la prima volta in questo senso, ma soltanto con Giovanni Paolo II e tra molte opposizioni e polemiche fu possibile, soprattutto in occasione del giubileo del secondo millennio, fare pubblicamente, in una solenne liturgia penitenziale, la confessione di molti peccati commessi dai “figli della chiesa”, cioè dai suoi membri: papi, vescovi, presbiteri e fedeli.
E così risuonarono le richieste di perdono innanzitutto agli ebrei, oggetto di disprezzo, ostilità e persecuzione da parte della chiesa, e poi richieste di perdono per una difesa della verità perseguita attraverso la violenza e addirittura il dare la morte, richieste di perdono per gli abusi e i soprusi perpetrati dalle autorità ecclesiastiche.
Non dimentichiamo che molti si domandarono se avesse senso chiedere perdono al posto di altri, quelli che avevano commesso il delitto, ma la chiesa, nella consapevolezza di essere un corpo solidale che attraversa i secoli, rispose che poteva compiere quest’atto e anzi lo sentiva doveroso verso le vittime e verso Dio.
Certamente riconoscere i delitti commessi da un’istituzione da parte dell’istituzione stessa è doveroso, è “purificazione della memoria”, è avvio verso un futuro riconciliato, ma resta vero che un certo ritualismo cerimoniale rischia di esorcizzare il senso di colpa. Per questo Papa Francesco nel suo viaggio penitenziale in Canada ha continuato a dire e ripetere con forza: “Esprimo vergogna e dolore e rinnovo la mia richiesta di perdono per il male commesso da tanti cristiani”. Ad ogni incontro con le diverse comunità indigene Francesco, addolorato visibilmente, ha assunto la vergogna senza attenuazioni e ha riconosciuto il male compiuto dai cattolici, partecipi di un genocidio.
Effettivamente questi crimini perpetrati contro popolazioni inermi e indifese, delitti più gravi degli abusi sessuali, non sono avvenuti in secoli lontani ma ancora pochi decenni fa e in un paese, il Canada, che è parte dell’Occidente cristiano. Com’è stato possibile che questo accadesse in un grande silenzio, con la complicità delle istituzioni politiche e religiose? Ma qui per noi cristiani si leva dalle profondità del cuore una domanda ancora più radicale: com’è possibile che questi delitti abbiano avuto per protagonisti ecclesiastici, preti, missionari, suore, persone che dicevano di aver dato la loro vita per il Vangelo, ma a servizio di chi? Questa domanda fa tremare la nostra fede dalle fondamenta: com’è possibile che chi è cristiano battezzato e si dice “consacrato a Cristo” assumendo uno stile di vita ascetica, vita fatta di rinunce e sacrifici, nello stesso tempo disprezzi, perseguiti, metta a morte un inerme bambino affidato alle sue cure? Già Pascal aveva constatato che mai gli uomini fanno il male con tanta determinazione e cattiveria quanto gli uomini religiosi lo fanno per ragioni che imputano a Dio. Ma allora il Vangelo è talmente inerme da essere letto, assunto, abbracciato e nello stesso tempo essere smentito e calpestato?
Sì, molti cristiani hanno vissuto e possono vivere ispirandosi al Vangelo fino a “fare il bene” spendendo, dando la vita, ma altri possono essere cristiani militanti e impegnati, preti ed ecclesiastici, ed essere solo aguzzini: è drammatico, ma così è!