Massimo Recalcati "Ucraina-Russia, paura della guerra dopo il Covid"
La Repubblica, martedì 14 giugno 2022
L'uno-due è stato tremendo: prima il trauma della pandemia, poi quello della guerra nel cuore dell'Europa.
Prima l'angoscia dell'infezione che poteva portare la malattia e la morte nelle nostre case, poi l'angoscia di
fronte alla crudeltà dell'aggressione russa e alla potenziale escalation del conflitto bellico dagli esiti
imprevedibili, ma già sufficienti per coinvolgere e destabilizzare la nostra vita collettiva. La sensazione diffusa
di smarrimento provocata da questo doppio incubo riguarda non solo il tempo presente, ma investe
pesantemente anche il nostro futuro. Anzi, nel tempo più acuto della pandemia era proprio il futuro in quanto
tale ad essere messo in gioco nel modo più estremo: "Esisterà ancora, ci sarà ancora un futuro? Ci sarà ancora
il mondo come lo abbiamo conosciuto e amato?" La dimensione apocalittica di queste domande ha
attraversato con più o meno forza le nostre vite sottoposte alla virulenza del Covid.
Tuttavia, accanto ad una esperienza collettiva di impotenza e di inermità abbiamo anche vissuto
un'esperienza di resistenza al male. Le istituzioni tanto vilipese dall'ideologia populista ci hanno salvato: la
famiglia, gli ospedali, la scuola, la scienza, l'esercito, l'azione dei governi che hanno gestito l'emergenza.
Ciascuno, certo, può avere la sua opinione su questa gestione (efficiente, precaria, improvvisata,
contradittoria, ecc), ma è fuori di dubbio che senza la vita delle istituzioni la nostra stessa vita si sarebbe
perduta. Grande lezione che ha disfatto nel modo più radicale possibile il postulato sul quale si era retta in
questa ultima stagione politica l'ideologia populista: le istituzioni sono antagoniste alla vita. Quello che
abbiamo visto è invece l'esatto contrario: le istituzioni non sono affatto nemiche della vita perché la vita
senza istituzioni è vita morta. Ma sfocato il primo piano sul Covid, attualmente, come dichiara sconfortato
un mio paziente, "non si può pensare ad altro se non alla guerra". Con l'invasione russa dell'Ucraina una
pesante cappa di incertezza è nuovamente calata sulle nostre vite. Mentre però con la pandemia l'oggetto
che rischiavamo di perdere era il mondo intero in quanto tale (viaggiare, incontrarsi, abbracciarsi, condividere
gli spazi, il lavoro, ecc), oggi a rischio di perdita sembra essere la pace.quanto tale (viaggiare, incontrarsi,
abbracciarsi, condividere gli spazi, il lavoro, ecc), oggi a rischio di perdita sembra essere la pace.
Dal dopoguerra ad oggi abbiamo costruito faticosamente l'Europa come un luogo prezioso dove il conflitto
politico ha potuto manifestarsi tra gli Stati e dentro gli Stati senza però mai ricorrere alla brutalità della
guerra. Questa idea della pace come conquista sicura, come habitat civile dato per acquisito, si è oggi
traumaticamente incrinata. "Non si può pensare ad altro che alla guerra", come dice il mio paziente, significa
che quello che sta accadendo oggi in Ucraina ci riguarda direttamente. Nel senso che con l'aggressione
dell'Ucraina è anche la nostra faticosa costruzione della pace che è stata aggredita. Nondimeno, l'Occidente
visto dal regime putiniano e dai sui ideologi - tra tutti il patriarca Kirill - non è affatto un luogo di pace, ma di
perdizione. Esso appare come una comunità disossata, priva di valori etici, profondamente corrotta nello
spirito: la nostra libertà è, dunque, falsa come è falsa la nostra pace. È questo il giudizio severo che si
manifesta per bocca di Kirill e degli altri ideologi del regime putiniano. Quello che colpisce è che tale giudizio
trova proprio nel nostro Paese numerosi accoliti sia all'estrema sinistra che all'estrema destra come a
segnalare che la nostra interiorizzazione effettiva della cultura democratica non è mai avvenuta in modo
compiuto. Per questo permane una lugubre fascinazione rossobruna nei confronti della figura di Putin. Ma
quale pace, ma quale libertà? Non era forse esattamente questo il dubbio avanzato dagli ideologi nostrani
No Vax e No Covid nel tempo più drammatico della pandemia? E non è forse questo lo stesso dubbio
sostenuto da molti di coloro che sostengono le ragioni russe nel conflitto in Ucraina?
Al fondo di entrambe queste posizioni c'è, in realtà, un odio politico larvale per le democrazie e un giudizio
morale sulla decadenza inarrestabile dell'Occidente. Il loro sguardo resta nostalgico. Non è un caso che i
maggiori esponenti politici e intellettuali di questi schieramenti appartengano a generazioni ormai anziane.
Le nuove generazioni non hanno avuto dubbi né sui vaccini né ne hanno sul crimine compiuto da Putin nei
confronti del popolo ucraino. Diversamente, anziché chiedersi perché i Paesi al confine della Russia si sono
via via liberamente allontanati dopo il crollo del Patto di Varsavia, i nostri critici inflessibili della democrazia
europea condividono pienamente l'idea dell'Occidente corrotto nelle sue fondamenta. Ma quale pace, ma
quale libertà? Sono le stesse parole che troviamo sia sulla bocca del patriarca Kirill, sia su quelle di molti
filorussi nostrani. Hanno lo stesso sapore medioevale di una condanna religiosa.