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La via di Mosè punta sull’«oltre della speranza»

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Sui passi dell’Esodo
a cura di 

Quella narrata nel libro dell’Esodo è una delle più grandi crisi della storia d’Israele, ridotta in schiavitù, incerta sul suo giorno dopo, costretta a rubare il futuro ai propri figli.

Situazioni e sentimenti molto vicini al nostro più recente passato e, sebbene in senso decrescente, anche al presente. Nel disperato tentativo di uscire dalla gabbia dell’angoscia in cui erano avvolti in Egitto, gli ebrei seguirono le mosse di Mosè che li spingeva verso un’avventura all’apparenza impossibile. Estremamente arrischiata, suonava anche come cosa da irresponsabili, gesto da incoscienti. Per superare la paura dell’Egitto, ci vuole un deciso colpo di reni, diceva Mosè, spinto a sua volta dalla voce di Dio. Ma gli Israeliti avevano dinanzi la sua faccia e non quella di Dio! Essi dovevano fidarsi di Mosè e credere che dietro alle sue scelte ci fosse la volontà di un Signore di libertà e misericordia.

È l’eterno problema del modo in cui il Dio trascendente si fa presente nel mondo: gli umani devono assumere la responsabilità di capirLo, di seguirLo e di farsene mentori rispetto ai cuori fiaccati dalle lunghe pene subite nella prova. Non è cosa facile e il povero Mosè dovette davvero saperne qualcosa quando – nei momenti della sete e della fame – gli Israeliti chiedevano conto a lui – e non a Dio! – della loro prostrazione. Dobbiamo ringraziare, pertanto, il coraggio di Mosè di condurre un popolo già stremato dai mali della terra verso una salvezza in cui solo lui insieme, forse, anche i suoi più stretti collaboratori, aveva creduto. «Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. E dissero a Mosè: “È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto portandoci fuori dall’Egitto? Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare e serviremo gli egiziani perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto?”» (10b-12).

Gli occhi dei più non hanno la forza di credere nel miracolo della libertà, della giustizia, del pieno riscatto e dell’importanza del non accontentarsi. I più corrono a facili e chiuse alternative: o l’Egitto o la morte. Come quando anche da noi si dice: o questa soluzione – ancorché limitante – o la catastrofe, suggerendo che, insomma, non bisogna cercare in alto ma restare nella mediocrità, nell’ordine già costituito, nel piegare il capo e la schiena, nei compromessi tesi a garantire i vantaggi dei singoli, nella retorica del gioco al ribasso.

La via di Mosè è la terza e punta in alto; gli occhi della sua sapienza riescono a guardare la stessa miseria del suo popolo dall’oltre della speranza, esigendo e promuovendo la sua piena rinascita. La sua forza sta nella fede e nella convinzione che il suo popolo meriti di meglio di un piatto di cipolle condito di lacrime, d’ingiustizia e d’indegnità. «Mosè rispose: “Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore. Il quale oggi agirà per voi; perché gli egiziani che voi oggi vedete non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi e voi starete tranquilli”» (vv. 13-14).

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