Enzo Bianchi "Dove non c'è eucaristia non c'è chiesa"
Jesus - Bisaccia del mendicante - Marzo 2020
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose
Qualche volta mi capita di essere fuori comunità in giorno di domenica e quindi di dover cercare una celebrazione eucaristica nella città in cui mi trovo: una celebrazione eucaristica in una chiesa di cui non conosco né pastori, né popolo di Dio, in un orario compatibile con le mie esigenze di viaggio.
Quando dunque trovo una chiesa in cui si celebra messa, entro e, per non essere riconosciuto, resto negli ultimi banchi. Così vedo entrare la gente, per lo più persone anziane, con i capelli bianchi, che prendono posto qua e là nella navata e attendono che il presbitero dia inizio alla liturgia. Raramente trovo una liturgia cantata, e quasi sempre il presbitero è solitario all’altare e nel presbiterio, nel quale entra solo qualche laico per le letture bibliche, scendendo poi velocemente al suo posto.
Dall’assemblea proviene qualche risposta, qualche versetto ripetuto in modo stanco; vi è l’ascolto della parola di Dio e dell’omelia e poi, di nuovo, la recita di un copione con interventi rari e brevissimi da parte dei fedeli. Al momento dello scambio della pace, quanti sono vicini si danno reciprocamente la mano, mentre gli altri si scambiano un cenno del capo da lontano. E poi, alla fine, ognuno se ne va, esce di chiesa e prende la sua strada.
L’impressione che vivo è quella di “assistere alla messa”, non di parteciparvi realmente, quale parte di un’assemblea celebrante presieduta da un presbitero. Tutti sono spettatori passivi di un’azione dalla quale si è di fatto esclusi, testimoni di un cerimoniale ripetitivo e poco convinto. Più volte mi sono chiesto: ma se abitassi in questa città e questa fosse la mia parrocchia, la domenica sentirei il bisogno di uscire di casa e di percorrere un tragitto per assistere a un evento che mi dice veramente poco o nulla? Non c’è stata una riforma liturgica voluta dal Vaticano II, affinché la liturgia eucaristica fosse “partecipata” e i fedeli non assistessero alla messa ma si sentissero chiesa che celebra la sua fede?
Certo, sono un cattolico che conserva la struttura della vita cristiana post-tridentina e quindi ho il senso del precetto e credo fermamente all’eucaristia come cibo e viatico assolutamente necessario per il nostro cammino verso il Regno. Ma perché non riesco a trovare facilmente nelle celebrazioni quel cibo spirituale che mi edifica, all’interno della comunità cristiana, e mi dà la gioia di celebrare insieme la resurrezione di Gesù Cristo? Devo inoltre ammettere che molti mi confessano la noia in questo assistere alla liturgia, che a volte sembra uno spettacolo diretto dal presbitero.
Ebbene, credo che dovremmo cercare proprio in questi elementi la causa del disertare la messa oggi da parte dei cristiani e non solo interpretare tale dato come frutto della diminuzione dei credenti, dell’“esculturazione” della chiesa, della secolarizzazione e delle alternative offerte dalla società dei consumi. Avremo il coraggio di cercare e constatare la verità circa le nostre celebrazione eucaristiche? Siamo davvero convinti che qualche ritocco della traduzione del Messale (del quale sta per uscire in Italia la terza edizione) sarà sufficiente affinché risuoni nella celebrazione una “lingua viva”, che per essere tale abbisogna di creazione, invenzione, trasformazione, riformulazione, dialogo e sinodalità? Non si tratta di invocare una creatività selvaggia e anarchica, ma perché continuare a ripetere formule nate nel primo millennio? Perché mantenere immagini di Dio che non corrispondono più alla nostra fede attuale?
Quanti presiedono l’eucaristia dovrebbero porsi una domanda: l’assemblea che sta loro di fronte, di quale azione liturgica ha bisogno per potervi partecipare? Come quest’assemblea può riconoscere in ciò che celebra la Pasqua del Signore e la sua presenza viva di Kýrios, di Signore su di essa? Le domande sono molte, a partire da quella che ripeto spesso: quando la chiesa permetterà a dei fedeli, uomini e donne, preparati, scelti e riconosciuti nel carisma di spezzare la Parola, di intervenire con ordine nell’omelia presieduta dal presbitero? Se continua l’attuale processo di disaffezione, dopo la mia generazione post-tridentina, convinta e fedele al precetto domenicale, la diserzione dell’assemblea eucaristica sarà epifanica. E ciò sarà una debolezza per tutta la chiesa, perché dove non c’è l’eucaristia, là non c’è la chiesa.
Nel dialogo l’altro si fa rivelazione di un dono che viene da altrove e va poi altrove. Ci rende possibile la scoperta inedita della nostra propria esistenza. Con parole e gesti fa affiorare l’interiorità che è in noi e ci fa il grande dono di rivelare in modo nuovo noi a noi stessi.
Quando dunque trovo una chiesa in cui si celebra messa, entro e, per non essere riconosciuto, resto negli ultimi banchi. Così vedo entrare la gente, per lo più persone anziane, con i capelli bianchi, che prendono posto qua e là nella navata e attendono che il presbitero dia inizio alla liturgia. Raramente trovo una liturgia cantata, e quasi sempre il presbitero è solitario all’altare e nel presbiterio, nel quale entra solo qualche laico per le letture bibliche, scendendo poi velocemente al suo posto.
Dall’assemblea proviene qualche risposta, qualche versetto ripetuto in modo stanco; vi è l’ascolto della parola di Dio e dell’omelia e poi, di nuovo, la recita di un copione con interventi rari e brevissimi da parte dei fedeli. Al momento dello scambio della pace, quanti sono vicini si danno reciprocamente la mano, mentre gli altri si scambiano un cenno del capo da lontano. E poi, alla fine, ognuno se ne va, esce di chiesa e prende la sua strada.
L’impressione che vivo è quella di “assistere alla messa”, non di parteciparvi realmente, quale parte di un’assemblea celebrante presieduta da un presbitero. Tutti sono spettatori passivi di un’azione dalla quale si è di fatto esclusi, testimoni di un cerimoniale ripetitivo e poco convinto. Più volte mi sono chiesto: ma se abitassi in questa città e questa fosse la mia parrocchia, la domenica sentirei il bisogno di uscire di casa e di percorrere un tragitto per assistere a un evento che mi dice veramente poco o nulla? Non c’è stata una riforma liturgica voluta dal Vaticano II, affinché la liturgia eucaristica fosse “partecipata” e i fedeli non assistessero alla messa ma si sentissero chiesa che celebra la sua fede?
Certo, sono un cattolico che conserva la struttura della vita cristiana post-tridentina e quindi ho il senso del precetto e credo fermamente all’eucaristia come cibo e viatico assolutamente necessario per il nostro cammino verso il Regno. Ma perché non riesco a trovare facilmente nelle celebrazioni quel cibo spirituale che mi edifica, all’interno della comunità cristiana, e mi dà la gioia di celebrare insieme la resurrezione di Gesù Cristo? Devo inoltre ammettere che molti mi confessano la noia in questo assistere alla liturgia, che a volte sembra uno spettacolo diretto dal presbitero.
Ebbene, credo che dovremmo cercare proprio in questi elementi la causa del disertare la messa oggi da parte dei cristiani e non solo interpretare tale dato come frutto della diminuzione dei credenti, dell’“esculturazione” della chiesa, della secolarizzazione e delle alternative offerte dalla società dei consumi. Avremo il coraggio di cercare e constatare la verità circa le nostre celebrazione eucaristiche? Siamo davvero convinti che qualche ritocco della traduzione del Messale (del quale sta per uscire in Italia la terza edizione) sarà sufficiente affinché risuoni nella celebrazione una “lingua viva”, che per essere tale abbisogna di creazione, invenzione, trasformazione, riformulazione, dialogo e sinodalità? Non si tratta di invocare una creatività selvaggia e anarchica, ma perché continuare a ripetere formule nate nel primo millennio? Perché mantenere immagini di Dio che non corrispondono più alla nostra fede attuale?
Quanti presiedono l’eucaristia dovrebbero porsi una domanda: l’assemblea che sta loro di fronte, di quale azione liturgica ha bisogno per potervi partecipare? Come quest’assemblea può riconoscere in ciò che celebra la Pasqua del Signore e la sua presenza viva di Kýrios, di Signore su di essa? Le domande sono molte, a partire da quella che ripeto spesso: quando la chiesa permetterà a dei fedeli, uomini e donne, preparati, scelti e riconosciuti nel carisma di spezzare la Parola, di intervenire con ordine nell’omelia presieduta dal presbitero? Se continua l’attuale processo di disaffezione, dopo la mia generazione post-tridentina, convinta e fedele al precetto domenicale, la diserzione dell’assemblea eucaristica sarà epifanica. E ciò sarà una debolezza per tutta la chiesa, perché dove non c’è l’eucaristia, là non c’è la chiesa.
Nel dialogo l’altro si fa rivelazione di un dono che viene da altrove e va poi altrove. Ci rende possibile la scoperta inedita della nostra propria esistenza. Con parole e gesti fa affiorare l’interiorità che è in noi e ci fa il grande dono di rivelare in modo nuovo noi a noi stessi.