Enzo Bianchi "Lettura infinita dell'amore"
La passione del Cantico dei Cantici
risvegliata dalla lettura di Benigni
risvegliata dalla lettura di Benigni
La Repubblica 8 febbraio 2020
dal sito del Monastero di Bose
È risaputo che gli italiani non sono assidui lettori della Bibbia, la quale sta magari nelle loro librerie senza essere letta. Giace senza che nessuno si preoccupi di far risuscitare le parole che contiene.
Eppure basta che venga citata da chi sa renderla eloquente che richiama e risveglia molti ascoltatori subito entusiasti. Così, pare sia successo per una breve presentazione e la lettura di alcuni versetti del Cantico dei Cantici da parte di Benigni in una trasmissione televisiva. Ci si potrebbe forse rallegrare, ma per quali ragioni?
Al cuore della piccola biblioteca che è la Bibbia, si trova il libretto che porta il titolo di Cantico dei Cantici, locuzione che esprime un superlativo: il canto più bello. È un libretto enigmatico attribuito al sapiente re Salomone ma in realtà è un poema di cui non conosciamo l’autore, un insieme “di frammenti di un discorso amoroso”, un testo antico di almeno ventiquattro secoli.
I rabbini, alla fine del I secolo dopo Cristo, dopo vivaci discussioni lo collocarono tra le Sante Scritture giudicandolo un testo che contiene la Parola di Dio, nonostante sembrasse ad alcuni un poema di amore profano, più adatto alle taverne che alle sinagoghe. Rabbi Achiba dichiarò: “Il mondo intero non vale il giorno in cui fu dato a Israele il Cantico, perché tutti i libri sono santi, ma il Cantico dei Cantici è il Santo dei Santi”. Dunque, il Cantico è il testo nel quale Dio è presente più che altrove e per questo gli ebrei e i cristiani lo hanno sempre letto nelle liturgie e lo hanno commentato con interpretazioni tipologiche e allegoriche. I protagonisti del Cantico, amante e amata, sono dunque Dio e il suo popolo, Cristo e la chiesa, Dio e l’anima del credente. Solo a metà del XVI secolo, un protestante, Sebastian Castellon osò leggere il Cantico come celebrazione dell’amore profano e per questo voleva toglierlo dalla Bibbia, ma la perla rimase nello scrigno. In ogni caso, dal secolo scorso l’interpretazione dominate nelle chiese cristiane legge il Cantico come inno all’amore umano, sensuale, erotico di due giovani amanti che su un piano di uguale dignità si riconcorrono per celebrare la bellezza dei loro corpi, la gloria dei loro sentimenti, il mistero del loro incontro sessuale. Sì, è l’amore umano, l’unico amore di cui noi umani siamo capaci che è parlato, cantato, celebrato, vissuto e raccontato in questo straordinario libretto che nella conclusione giunge alla domanda: “Se forte come la morte è amore, chi vincerà in questo duello?”.
Le carezze, i baci, gli amplessi, il sesso, la forma dei corpi, il risuonare continuo del “tu” e dell’”io”, sono evocati nel Cantico al fine di passare dalla pulsione sessuale al desiderio erotico. Chi sa leggere il Cantico conosce l’autentica ars amandi come umanizzazione, come arte rara, vero antidoto alla pornografia.
E tuttavia, occorre anche dire che per venti secoli il Cantico è stato letto e commentato da rabbini, fino a Emmanuel Levinas e dai primi monaci cristiani, fino a Bonhoeffer, come canto dell’amore tra Dio e il credente, attraverso migliaia di pagine di veri capolavori di letteratura spirituale. Ma se questo fosse stato detto da Benigni non avrebbe accresciuto l’ascolto.