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Alessandro D’Avenia "L'Epifania quotidiana"

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Oggi è un lunedì più lunedì degli altri. La coincidenza dell’Epifania con la domenica rende questo lunedì un Everest della vita quotidiana. Come sopravvivere alla routine dei giorni tutti uguali dopo tante feste?
La risposta è proprio nell’Epifania, che significa «rivelazione». Una settimana fa, l’1 gennaio, alle 6 e 33, New Horizons, sonda lanciata a gennaio 2006, ha sorvolato il corpo celeste più lontano mai raggiunto: Ultima Thule. L’asteroide, dalla curiosa forma di neonato, battezzato col nome della leggendaria isola ai confini del mondo, dista 6 miliardi di chilometri. Si trova nella fascia di Kuiper, anello di innumerevoli e multiformi oggetti spaziali oltre l’orbita di Nettuno, dove hanno origine le nostre comete, ghiaccioli ambulanti che si dotano di coda luminosa quando la loro orbita è più vicina al Sole. A metà dicembre una di esse ha illuminato il cielo per qualche giorno. Tra le comete, la più famosa e luminosa, è quella natalizia di Halley, che Giotto dipinse nella cappella degli Scrovegni nella scena dell’adorazione dei Magi, l’Epifania. Era rimasto incantato dalla palla di fuoco che aveva solcato il cielo nel Natale del 1301. I corpi celesti restano ancora un’incursione di meraviglia nell’opacità del quotidiano, ricordandoci la bellezza che avvolge il nostro pianeta e la nostra vita. Anche i Magi rimasero incantati da un corpo celeste tanto da mettersi in viaggio. Ma che cosa li spinse verso l’ignoto?

Essi erano astronomi babilonesi, nel mondo antico tra i più esperti dei moti celesti. Un evento unico li stupì così tanto che decisero di mettersi in moto verso la Giudea. Di che cosa si trattasse lo spiegò Johannes Keplero in persona (il grande astronomo copernicano che scoprì le leggi del moto dei pianeti che abbiamo studiato a scuola) ad alcuni astronomi del suo tempo per i quali la stella del Vangelo era una cometa o solo un simbolo. Keplero, nel Natale del 1603, rimase abbagliato da un fenomeno celeste mai descritto prima, una congiunzione di pianeti che appaiono vicini tra loro e sommano così la loro luminosità. Grazie alla sua conoscenza dei moti planetari calcolò che l’evento avviene ogni 800 anni circa (il prossimo nel 2400): quindi attorno all’anno zero ben tre pianeti (Giove, Saturno e Marte) si erano congiunti nella costellazione dei Pesci emanando una luce sorprendente. In De die natali Iesu Christi (Sul giorno di nascita di Gesù Cristo) Keplero escludeva si trattasse della sola luce della cometa di Halley, dipinta da Giotto, la cui orbita attorno al Sole dura 76 anni e il cui passaggio era quindi avvenuto nel 12 a.C.

Scienziati e storici dibattono ancora, ma l’ipotesi di Keplero è compatibile in tutto col racconto evangelico e giustifica l’azzardo (una cometa non era evento raro) del viaggio dei Magi. Erano seguaci della religione del dio Marduc, identificato con Giove che, in congiunzione con Saturno (simbolo del popolo giudaico), li indirizzava a Gerusalemme, dove si recano alla corte di Erode in cerca di un neonato re divino e si sentono rispondere che le scritture sacre indicano in Betlemme i natali del loro Messia. Abbagliati dalla bellezza del rarissimo fenomeno celeste non lo sottovalutano e ne inseguono il senso pieno. La storia mi affascina non solo perché intreccia campi del sapere oggi ritenuti incompatibili, ma soprattutto perché segnala, alla fine delle feste, l’essenziale per la ripresa della vita ordinaria: dove trovare slancio nella ripetizione dei giorni e delle opere dopo un periodo come il Natale? Come i Magi, proprio nel bel mezzo del nostro lavoro.

Il lavoro è il nutrimento della vita, sia perché è la trasformazione del mondo in pane da mangiare e dividere, sia perché è nel lavoro (oltre che nelle relazioni) che troviamo la materia per la pienezza del compimento personale. Ma, tra chi è costretto a fare un lavoro che non ama e chi si è stancato di quello che aveva all’inizio abbracciato con slancio e genuina vocazione, proprio il lavoro, spesso, diventa per molti prigione o noiosa ripetizione da cui fuggire. Come trasformarlo invece in occasione di un sempre nuovo stupore che vince la noia o ce la fa accettare come parte della vita? La noia è l’assenza del nuovo. Non intendo «nuovo» in opposizione a «vecchio» ma a «sempre uguale». Qualcosa è nuova non quando è «la più recente», ma quando è«inesauribile». Il modello «più recente» di un oggetto mi illude, ma è già vecchio quando lo compro e comincio a usarlo, mentre «nuovo» è ciò che si rinnova di continuo grazie a una interna energia vitale, come gli anelli di un albero che si formano, di anno in anno, attorno al suo centro. «Non nuovo» è tutto ciò che non può dare più nulla: è esaurito, a prescindere dall’età. Una sonata di Beethoven, un quadro di Van Gogh, un canto di Dante, il volto della persona amata, sono sempre nuovi perché danno qualcosa di più ad ogni incontro, non si esauriscono come un «tormentone» che dura una stagione. Gli autori del nuovo non sono semplici «innovatori», ma coloro che hanno costruito, per tutti, un pozzo a cui attingere dalla vita vera.

Il nuovo non è quindi il «diverso» dal solito, ma «lo stesso» che non diventa mai «uguale»: è un «solito» inesauribile. Chi ama lo sa: trova sempre il nuovo nella stessa persona. Il nuovo dipende quindi dall’amore: ricevo la vita contenuta in ciò che incontro veramente, ciò a cui mi apro e che curo. Se le nostre giornate diventano noiose e ripetitive è per mancanza di novità, cioè di incontri reali con la vita che sgorga da cose e persone, e riempiamo il tempo di azioni senza senso, superficiali, dettate da regole o imposizioni, o semplicemente, siamo chiusi: non incontriamo (non andiamo incontro a) nulla. Così perdiamo l’ispirazione che non è una magia, ma attingere, con impegno, dal pozzo della vita attraverso la relazione amorosa con il mondo. Come ritrovare l’ispirazione perduta? Ancora i Magi ci aiutano.

L’ispirazione non è privilegio degli artisti ma di chiunque — insegnanti, giardinieri, medici, camerieri… e tutte le professioni oneste del mondo — abbia scelto liberamente e consapevolmente la propria vocazione e svolga il proprio lavoro «con amore». Con «amore» non intendo solo «cura», ma «occasione» per dare e ricevere vita. Il lavoro di queste persone è infatti un’avventura continua, perché, come i Magi, vi trovano sempre nuove sfide. Le difficoltà che incontrano non li soffocano, anzi garantiscono un incontro reale, come in una relazione, quando si litiga e ci si ritrova più uniti di prima perché l’amore ha trasformato la diversità in uscita dall’egoismo e in nuova ricchezza. Purtroppo oggi molti lavorano per pura necessità, non hanno scelto per vocazione ma per circostanze, pressioni, illusioni. Ma un lavoro senza ispirazione, cioè senza amore, diventa prima una noia poi una prigione da cui fuggire tutte le volte che si può.

Tre sono le linee d’azione possibili. 1) Per chi ha la fortuna di fare un lavoro coerente con la propria vocazione, condividere la propria ispirazione con chi si è spento (a scuola basta fare qualcosa insieme). 2) Per chi fa il lavoro «vocazionale» ma ha perso contatto con la sorgente creativa, scavare per liberare l’ispirazione imprigionata: perché hai fatto questa scelta? Quale stella (chi e cosa) si era accesa per spingerti al viaggio? Perché la luce si è spenta? Che cosa la ostacola o soffoca? 3) Per chi è invece costretto a fare un lavoro per il quale non ha vocazione ci sono due modi per ispirarsi. a) Cercare il nuovo che vi si cela: cioè essere «amorosamente» aperti a cose e persone, come fa una edicolante trentenne che mi ha descritto di recente la sua vita «sorprendente»: «un’edicola porta ad ascoltare moltissime persone, passo dal dolore alle ossa di un anziano alla mamma che ha problemi con gli insegnanti, al bambino che racconta la giornata scolastica. I bambini mi salutano tutte le mattine prima di recarsi a scuola. Ultimamente anche adolescenti con cui ho instaurato un rapporto di condivisione. Si affidano a me in quanto adulta, senza un ruolo di “rimprovero” ma solo di ascolto: raccontano problemi o chiedono consiglio. Spesso non vengono per comprare ma solo per essere ascoltati. Per me è una responsabilità non indifferente». b) Coltivare il nuovo, ogni giorno, anche pochi minuti, attraverso ciò per cui abbiamo vocazione, nei modi e tempi che riusciremo a trovare. Conosco una ragazza che, così facendo, è riuscita a trasformare la sua passione per la cosmesi in un bel lavoro.

Io mi stanco di tante cose nel mio lavoro, ma non sono quelle essenziali, che invece si rinnovano sempre: ciò che studio e i ragazzi che incontro sanno darmi ogni giorno l’inatteso, faticoso o meno che sia. È una continua sorpresa che spinge al viaggio verso ciò che è altro da me e mi sfida all’amore proprio perché è altro da me. Occorre però rimanere aperti, pronti anche a lasciarsi ferire. Con le sole forze umane non riuscirei mai, ma sapere che ogni evento è un’occasione che Dio mi dà per essere amato e amare di più, mi tiene vigile e aperto: Dio non mi annoia mai. Il letto da rifare oggi è allora (ri)trovare la stella che indica ciò che può indirizzare la vita e mettersi in viaggio. Quale è la vostra stella? Dove siete diretti? I Magi portavano doni a un re e trovarono un semplice bambino con i genitori: forse perché la novità della vita quotidiana è proprio la vita quotidiana.

in Il Corriere della Sera 07 gennaio 2019 (fonte)
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