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Sorelle Monastero Bose "La parabola della pazienza"

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Matteo 13,24-30

Gesù racconta che il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo, ma durante la notte un suo nemico semina un’erba infestante, cattiva, la zizzania.
I servi vorrebbero sradicarla ma il padrone pone un freno al loro zelo nel timore che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichino anche il grano. «Lasciate che l’uno e l’altra crescano insieme fino alla mietitura e, al momento della mietitura, dirò ai mietitori: raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano riponetelo nel granaio» (Matteo 13, 30).
Matteo riporta qui l’esperienza della sua chiesa. Gesù ha seminato la sua parola, gli apostoli hanno continuato questa semina con la loro predicazione, eppure all’interno della comunità di Gesù, della comunità di Matteo, della chiesa, c’è la zizzania, c’è il male. Perché? Da dove viene?
Nelle nostre comunità cristiane che dovrebbero essere segno profetico per il mondo, sale della terra, luce da porre sul candelabro, profezia dell’amore, della pace del Regno, quanta ingiustizia, quanta prepotenza, quanta sovrabbondanza della maldicenza, dello sguardo cattivo, della condanna dell’altro! E dentro di noi, nel campo del nostro cuore, non avviene la stessa cosa? Perché? Nella parabola della zizzania non c’è una risposta a questa domanda. Di fronte al mistero del male in tutte le sue forme, a questa forza che pure ben conosciamo e sperimentiamo dentro di noi e fuori di noi, i nostri perché si perdono nel silenzio e un’altra domanda ci raggiunge: «Tu, come reagisci dinanzi al male? Dinanzi alla zizzania, alla cattiveria, alla sofferenza,
come vivi quella «dolce speranza» (Sapienza 12, 19) che il Padre ha posto nel cuore dei suoi figli?
A dispetto di ogni nostra illusione infantile la realtà nella quale viviamo è ferita, mancante, deludente. Anzi, più nel nostro cuore desideriamo il grano buono e più vediamo quella zizzania infestante che a volte sembra soffocare ogni tenera pianticella e sembra dichiarare l’inutilità di qualsiasi sforzo per coltivare il campo. L’insegnamento di Gesù non si concentra sul perché è apparsa la zizzania, ma sul come comportarsi dinanzi a essa. «Lasciatela»: è un ordine che ci sconcerta, che contrasta quella che riteniamo la parte migliore di noi, il nostro desiderio di giustizia, verità, santità, radicalità, cioè quello zelo che tante volte crediamo zelo buono e che in realtà non si manifesta diverso dallo zelo di quei due apostoli, Giacomo e Giovanni, i «figli del tuono» (Marco 3,17), che al vedere Gesù rifiutato dagli abitanti di un villaggio samaritano, gli chiedono: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Luca 9, 54). Non avevano capito molto dell’insegnamento del loro maestro! Eppure quante volte nel corso della storia ci siamo sentiti autorizzati ad accendere roghi per bruciare chi, secondo noi, non accoglieva Gesù! C’è una volontà di sradicare il male sradicando il peccatore che non è secondo Dio. La chiesa non è una setta di puri, le nostre comunità non sono il regno dei cieli.
Gesù racconta la “parabola della pazienza”, della pazienza di Dio innanzitutto: Dio pazienta, non ha fretta di giudicare, di dividere il buon grano dalla zizzania, aspetta e pazienta; della pazienza che ciascuno di noi deve avere con se stesso nel vedere che nel campo del suo cuore grano e zizzania crescono insieme; della pazienza gli uni con gli altri all’interno della comunità, della chiesa, rinunciando a dividere, discriminare, condannare, portando pazienza l’uno con l’altro, sopportando e portando i pesi gli uni degli altri, sopportando dell’altro anche la zizzania.
È vero che poi Matteo, pochi capitoli più avanti, al capitolo 18, parlerà della necessità di richiamare, e anche pubblicamente, con forza, chi non vive secondo il Vangelo, ma questo servizio fraterno va fatto nella carità, ricordando sempre la trave che è nel nostro occhio: «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello» (Matteo 7, 5).

a cura delle sorelle di Bose
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