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Enzo Bianchi Mettersi in ascolto del popolo

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Vita Pastorale - febbraio 2018
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose

È molto significativo che, nel racconto lucano degli Atti degli apostoli riguardante la nascita, la crescita e la diffusione della chiesa, siano presenti alcune precise testimonianze riguardo all’esercizio del discernimento ecclesiale.
Sono annotazioni certamente brevi eppure molto eloquenti, perché paradigmatiche del cammino percorso nella storia dalle comunità cristiane.

Iniziamo a evidenziarle a partire dal racconto della prima adunanza dopo la morte, resurrezione e ascensione al cielo di Gesù (cf. At 1,12-26). Nella “camera alta” dove il gruppo dei discepoli e delle discepole dimorava a Gerusalemme, Pietro, che appare come il primo nella comunità in nome della missione affidatagli da Gesù durante l’ultima cena (cf. Lc 22,32), prende la parola in mezzo ai seguaci (circa centoventi persone) per enunciare un’urgenza, un bisogno nella comunità: ricostituire il numero degli apostoli, dodici come le tribù di Israele, dopo che era venuto meno Giuda, il traditore. Citando le sante Scritture da lui scrutate con assiduità, Pietro attesta che quell’incarico, quella porzione assegnata da Gesù stesso a Giuda deve essere assunta da uno dei discepoli, di cui abbozza il ritratto: uno scelto tra i compagni di Gesù, chiamato da Gesù, istruito da lui, testimone della sua missione fin dall’inizio – il battesimo conferito da Giovanni –, testimone della sua resurrezione. Queste le qualità richieste per accedere all’apostolato, in base alle quali emergono e sono riconosciute due figure: Giuseppe Barsabba e Mattia. A questo punto l’assemblea prega e vengono gettate le sorti per lasciare l’ultima parola a Dio: la sorte cade su Mattia, il quale viene annoverato nel gruppo dei dodici apostoli.

Siamo di fronte a un discernimento comunitario, operazione guidata da Pietro, che culmina in un’elezione, ma lascia poi al Signore l’ultima parola: i membri della comunità deliberano, ma alla fine rimettono la scelta a Dio. Così i dodici, insieme a Maria, la madre di Gesù, alle discepole e agli altri seguaci riuniti “in uno stesso luogo” (epì tò autó: At 2,1), ricevono lo Spirito santo promesso da Gesù. È Pentecoste, evento che secondo Luca coincide con la fondazione della chiesa.

Ben presto altre scelte s’impongono alla chiesa di Gerusalemme. Quando essa cresce e appare contrassegnata da un insegnamento apostolico, dalla comunione (koinonía), dalla frazione del pane e dall’assiduità alla preghiera (cf. At 2,42), sorgono anche ostilità da parte delle autorità giudaiche insieme a conflitti interni, a cominciare dal tema della giusta condivisione dei beni. C’è chi non condivide i beni con trasparenza e spirito di comunione, c’è chi entra in una logica che privilegia alcuni e trascura altri. Ecco dunque la crisi e il conflitto, che trova come causa scatenante la presenza di povere vedove provenienti dal paganesimo, dimenticate dai cristiani di origine giudaica.

Cosa fare per sconfiggere il malcontento e arrestare la divisione? I dodici, garanti dell’unità della chiesa, convocano l’assemblea e pensano di creare un nuovo ministero. Propongono che sette fratelli scelti dalla comunità siano deputati al servizio della distribuzione dei beni, in modo che i dodici stessi possano dedicarsi alla preghiera e all’evangelizzazione. Così avviene: i sette fratelli scelti (mai è detto che sono diaconi!), a motivo della buona reputazione riconosciuta dagli altri, pieni di Spirito santo e di sapienza, sono presentati ai dodici, che confermano la scelta e, mediante l’imposizione delle mani, affidano loro quella missione (cf. At 6,1-6). Questi sette saranno poi evangelizzatori efficaci, ben più che semplicemente dediti al servizio delle tavole, e tra loro vanno annoverati Stefano e Filippo. Dovremmo stupirci di questa libertà della chiesa nascente: al bisogno che si manifesta nella comunità, sa rispondere con coraggio, audacia, creando un ministero senza sentirsi prigioniera del passato o di istituzioni provenienti da una lunga tradizione.

In seguito Luca segnala la necessità di un ulteriore discernimento e illustra un cammino sinodale vissuto nella chiesa apostolica: si pone infatti il complesso problema dell’accoglienza all’interno della chiesa, comunità essenzialmente giudaica, anche dei non ebrei, dei pagani che si convertono al Vangelo di Gesù. È una scelta decisiva per il futuro della chiesa e per il pieno compimento del disegno di Dio, ma indubbiamente il passo da compiere è arduo, difficile: per la comunità giudaica si trattava di una novità “scandalosa”. Pietro, ammonito da una visione, si reca nella casa di un pagano, il centurione Cornelio che risiede a Cesarea. Pur tra molte perplessità, per rivelazione di Dio giunge a comprendere che “Dio non fa preferenza di persone” (At 10,34) e accoglie anche i pagani nella comunione instaurata da Cristo. Ma, mentre egli sta operando il suo discernimento e sta annunciando il Vangelo, ecco che lo Spirito santo scende anche su quei pagani e precede Pietro e il suo conferimento del battesimo (cf. At 10,1-48).

A questo discernimento lento e personale operato da Pietro va accostato il discernimento comunitario, sinodale, compiuto a Gerusalemme dagli apostoli stessi (cf. At 15,1-35), in risposta al conflitto tra giudeocristiani ed ellenocristiani scoppiato ad Antiochia. La chiesa di Gerusalemme, che sta in ascolto, è raggiunta dalla notizia della conversione dei pagani e del conflitto che è nato in merito alla loro ammissione nella comunità cristiana. Dopo visite e confronti, la controversia viene risolta in un’assemblea in cui si confrontano Pietro e Giacomo, i quali ascoltano le ragioni dei convertiti dal paganesimo per bocca degli inviati Paolo e Barnaba. Il confronto è aspro, il conflitto è dichiarato senza reticenze davanti ad apostoli e presbiteri. Pietro prende la parola per dichiarare la salvezza rivolta a tutti gli esseri umani, e tutti accolgono in silenzio il suo discorso. Dopo un ulteriore discorso rivolto a tutti da Giacomo, il fratello del Signore, capo della chiesa di Gerusalemme, si decide di accogliere le istanze emerse ad Antiochia, specificando però alcune richieste ineludibili.

Dal confronto e dall’ascolto reciproco nasce una lettera firmata da apostoli e presbiteri in cui si testimonia che “è parso bene allo Spirito santo e a noi” (At 15,28) aprire all’accoglienza nella chiesa delle genti provenienti dal paganesimo. L’esito di questo “sinodo”, di questa assemblea, non è la vittoria di alcuni o la sconfitta di altri ma una proposizione condivisa in cui tutti si potessero riconoscere. Così la chiesa conosce nuovamente la comunione, la pace, e da quel momento le sue porte mai più si chiuderanno a quanti, tra le genti, saranno chiamati alla fede da parte del Signore sempre vivente e presente in mezzo ai suoi discepoli.

Questi racconti degli Atti che testimoniano l’operazione ecclesiale del discernimento sono dei veri “racconti fondativi”, altamente significativi ed esemplari per la chiesa di ogni tempo. Se infatti è vero che c’è un esercizio del discernimento personale, lo è altrettanto che esiste un esercizio del discernimento comunitario, più complesso e forse più faticoso, ma che deve sempre essere messo in atto nella chiesa. ”In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge a evangelizzare”, e sempre la comunità cristiana, sotto il primato della Parola e dello Spirito santo, è dotata “di un istinto della fede – il sensus fidei – che la aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio” (Francesco, Evangelii gaudium 119). Si tratta di “ascoltare ciò che lo Spirito dice alle chiese” (cf. Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22), le quali ascoltano attraverso gli orecchi di uomini e donne, cristiani e cristiane nei quali è efficace la grazia e opera la parola del Signore ascoltata, pregata e vissuta.

Fare discernimento comunitario, camminare insieme, non è una “tecnica” per vivere in bene insieme, ma è la condizione senza la quale lo Spirito santo non può parlare alla chiesa. Gli stessi pastori, i quali per essere tali devono avere il dono del discernimento, hanno la precisa responsabilità di mettersi in ascolto del gregge loro affidato, per discernere insieme la volontà del Signore e darle attuazione ecclesiale. L’antico adagio ecclesiale “quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet” (“ciò che riguarda tutti, deve essere discusso e approvato da tutti) si ispira proprio a questa prassi della chiesa nascente testimoniata, seppur in modo semplice e sintetico, dagli Atti. Lo Spirito santo, “maestro dell’unità nelle differenze” (Francesco, Incontro con i sacerdoti e i consacrati, Duomo di Milano, 25 marzo 2017), accompagna sempre la chiesa, se il cammino che essa compie è sinodale.
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