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Commento alle letture 29 luglio 2012 (G.Bruni)

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Giancarlo Bruni,  appartiene all'Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Letture: 
2 Re 4,42-44; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15.
«Gesù prese i pani e li diede a quelli che erano seduti»

1. Le domande sottese all’intero capitolo sesto del vangelo di Giovanni sono tre: la prima riguarda l’identità di Gesù, la seconda il significato di tale identità per l’uomo e la terza riguarda le risposte date al suo definirsi e al suo donarsi come pane di vita per l’uomo.
Di adesione (Gv 6,68), la risposta suggerita da Gesù (Gv 6,29), o di rifiuto (Gv 6,41.66). Un Gesù categorico nei confronti degli Dodici, urgente è decidersi, o-o: «Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,67). Sono in gioco la verità di Gesù e il suo senso per la creatura umana. Pagina dunque decisiva narrata secondo un genere letterario caro a Giovanni: narrazione del fatto, nel caso la moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-15), e sua lunga spiegazione (Gv 6,26-71) o catechesi del pane. Tutti entusiasti dell’evento, pochi gli aderenti alla interpretazione che ne darà Gesù nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,59), tutti come sempre alla caccia di miracoli e al voler imprigionare nei propri schemi chi li compie.
2. Veniamo al testo. L’episodio della moltiplicazione dei pani avviene nel territorio di Galilea, nella prossimità della Pasqua giudaica e davanti a «una grande folla che seguiva Gesù vedendo i segni che faceva sugli infermi». Folla affamata e nell’impossibilità di trovare cibo e di ricevere cibo dai discepoli, unica risorsa cinque pani e due pesci. Una situazione chiara a Gesù (Gv 6,1-9) che assume decisamente l’iniziativa: fateli sedere, «erano circa cinquemila uomini», prese i pani, rese grazie, li distribuì a sazietà e ordinò che ne venissero raccolti i pezzi avanzati perché nulla andasse perduto. E riempirono dodici canestri (Gv 6,10-13). Questo il gesto di Gesù simile a quello del padre di famiglia che ai commensali seduti a tavola distribuisce a ciascuno una porzione di pane dopo aver pronunciato su di esso la preghiera di ringraziamento o benedizione. Gesto che la gente interpreta come «segno» (Gv 6,14) al pari delle guarigioni (Gv 6,2), gesto ricco di sottintesi. Il termine «segno» in Giovanni è sempre associato alla lettura di Gesù come Messia mentre la circostanza della «pasqua» evoca un nuovo passaggio portato da Gesù il Messia, il salto dalla morte alla vita eterna in lui pane di vita eterna. Cibarsi di lui, equivalente di credere in lui, è mangiare eternità. Un pane moltiplicato per ogni creatura di ogni luogo e tempo, questo dicono le «dodici ceste avanzate», ove dodici è sinonimo di perfezione, di totalità: dodici i mesi dell’anno a indicare l’intero anno e dodici le tribù di Israele a indicare l’intero Israele e dodici gli apostoli a indicare il fondamento unico dell’intera Chiesa, e quando dici Israele e Chiesa dici l’intera umanità, il frammento per il tutto. Gesù il Messia è il pane disceso dal cielo per la terra intera, venuto a dare vita in abbondanza (Gv 10,10), a sazietà. E ancora. Il verbo «raccogliere» e il sostantivo «frammenti» assai presto entreranno a far parte del rituale eucaristico (Didachè 9,4) unitamente al prendere-benedire-distribuire. Pagina dunque, questa di Giovanni, che volutamente, alla maniera di Giovanni, sottende molteplici sfaccettature offerte a lettori-uditori provocati a capire, a interpretare.
3. Tra le interpretazioni di un gesto in sé chiaro vi è quella della folla: «Visto il segno che aveva fatto, quegli uomini dicevano: Questi è veramente il profeta che deve venire nel mondo. Ma Gesù, saputo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò nuovamente sul monte, egli solo» (Gv 6,14-15). Gesù non si lascia imprigionare dalla interpretazione data di lui dai cinquemila, ne prende la distanza anche fisica e in solitudine rimane fedele a se stesso, alla propria verità. Sì, Gesù è il profeta preannunciato da Mosè (Dt 18,18) e il re-Messia davidico venuto a dare compimento alla attesa secolare di un mondo altro da quello che è, ma in una forma che gli è dettata dal Padre e non dalla folla. Forma che contempla il rifiuto dell’avvalersi del potere politico come strumento all’affermarsi del mondo di Dio, la sua è la via della «gloria», quella di un amore incondizionato che ove accolto inizia a dar forma ad una umanità amata, capace di amare e libera dal potere della morte. La via di Dio al nuovo in Cristo è quella di un amore non disatteso dalla fede e così va interpretato il miracolo dei pani: il darsi in pasto del Cristo-pane per divenire pane alle tante fami dell’uomo.

Fonte: toscanaoggi
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