La parola della domenica 5 Febbraio 2012 (Casati)
Gb 7,1-4.6-7
1Cor 9,16-19.22-23
Mc 1,29-39
1Cor 9,16-19.22-23
Mc 1,29-39
La pagina di Vangelo che oggi abbiamo ascoltato potrebbe forse avere come titolo: "Una giornata di Gesù".
E, ripercorrendo la giornata di Gesù, non mi interessava più di tanto indagare se la giornata - quella narrata da Marco - fosse una giornata reale o se Marco, con alcuni ricordi, avesse voluto ricostruire una giornata tipo di Gesù.
Provavo invece, rileggendola, - non so se è stato così anche per voi - un'emozione, come se mi sentissi riconciliato con le mie giornate: le "nostre" giornate, così piene, così affollate, una cosa dopo l'altra. Le nostre giornate piene e la giornata piena, senza tregua, affollata, di Gesù.
Mi emozionava -perdonate la parola- questa immersione di Gesù nella vita più reale della gente, in questi ritmi umani - un poco disumani -, immerso in tutti i luoghi: la sinagoga, la casa, la strada, la porta della città, il luogo deserto, chissà, un monte; immerso in tutte le ore: le ore del giorno, e poi il tramonto del sole, e il mattino quando ancora era buio.
Non sfuggiamo l'immersione, come Gesù non l'ha sfuggita!
Era il segno della fedeltà all'uomo, all'umanità, alla storia. E come è evidente, anche in questo racconto di Marco, la fatica -mi si passi la parola- la fatica di Gesù, uguale alla nostra, nel trovare in una vita così immersa spazi d'interiorità! Ed è affascinante anche vedere come Gesù si inventava, e dove li inventava, i momenti del silenzio e dell'interiorità: "S'alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava". Quasi un invito per me, per tutti noi immersi, giustamente immersi, a inventare -ognuno si inventi i suoi- i luoghi e i momenti del silenzio, dell'ascolto, della preghiera. Una condizione questa per non essere prosciugati nell'immersione, una condizione perché "l'essere immersi" non abbia come esito "l'essere sequestrati". Sequestrati nella visione - capite -. È un pericolo - o è stato anche per Gesù -: "Tutti ti cercano". Risposta: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là". Immersi, ma non prosciugati; immersi, ma non sequestrati. Sull'immersione di Gesù vorrei ancora aggiungere che -secondo il racconto di Marco- è un'immersione in modo particolare nell'umanità sofferente, dolente. Non in un'umanità plaudente, non è questo il bagno di folla che ricerca Gesù. Il suo anelito è altrove: è passare dentro le malattie, dentro i problemi senza fine dell'umanità. Perché? Perché questa è la sua immersione preferita? Non so se interpreto bene. Ma a me sembra di capire che al problema del male, della sofferenza, al grido del dolore innocente, non ci sono risposte. E quindi non rispondere! Non rispondere con le parole al problema del male, della fatica di vivere, all'assurdo del dolore innocente. La Bibbia ospita, senza censure, quello che i nostri libri ecclesiastici mai ospiterebbero. Ospita senza censure il grido di Giobbe, e oggi l'abbiamo ascoltato: "I miei giorni sono stati più veloci di una spola, sono finiti senza speranza". Eppure Giobbe non cancella Dio: "Ricordati" -gli grida- "che un soffio è la mia vita". Quasi un appello a Dio, davanti al quale una vita non ha bisogno di chissà quali requisiti per essere ricordata: basta un soffio di vita, per essere ricordata, per essere amata da Dio: "Ricordati che un soffio è la mia vita". La risposta, al mal di vivere, non sta nelle dichiarazioni ecclesiastiche, il nodo non si scioglie con le parole: la risposta è la condivisione del male di vivere, la risposta è un Dio immerso, un Dio che sta accanto con infinita compassione; la risposta è un amore che condivide il male di vivere, la sofferenza degli umani. Nel segno di Gesù sulla suocera febbricitante di Simone non ci sono parole. I verbi sono: "avvicinatosi, la fece alzare, prendendole la mano". "Avvicinatosi": nessuna paura del contatto. "La fece alzare": è il verbo della risurrezione, la risuscita. "Prendendola per la mano", letteralmente "stringendo forte la mano": nessuna paura del corpo. Penso che la chiesa abbia molto da imparare, che tutti noi abbiamo molto da imparare, noi che abbiamo teorizzato il distacco, il non mescolarci - Roma è sacra! -, noi che abbiamo seminato il sospetto sul corpo: lui tocca il corpo, e di una donna. Che notizia buona - proprio una buona notizia! - che un libro del nostro Vescovo che abbia per titolo: "Sul corpo"! Nel Vangelo è scritto: "Le strinse forte la mano". Forse un po' più forte di quanto ce la stringiamo noi allo scambio della pace.
Fonte: sullasoglia
Era il segno della fedeltà all'uomo, all'umanità, alla storia. E come è evidente, anche in questo racconto di Marco, la fatica -mi si passi la parola- la fatica di Gesù, uguale alla nostra, nel trovare in una vita così immersa spazi d'interiorità! Ed è affascinante anche vedere come Gesù si inventava, e dove li inventava, i momenti del silenzio e dell'interiorità: "S'alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava". Quasi un invito per me, per tutti noi immersi, giustamente immersi, a inventare -ognuno si inventi i suoi- i luoghi e i momenti del silenzio, dell'ascolto, della preghiera. Una condizione questa per non essere prosciugati nell'immersione, una condizione perché "l'essere immersi" non abbia come esito "l'essere sequestrati". Sequestrati nella visione - capite -. È un pericolo - o è stato anche per Gesù -: "Tutti ti cercano". Risposta: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là". Immersi, ma non prosciugati; immersi, ma non sequestrati. Sull'immersione di Gesù vorrei ancora aggiungere che -secondo il racconto di Marco- è un'immersione in modo particolare nell'umanità sofferente, dolente. Non in un'umanità plaudente, non è questo il bagno di folla che ricerca Gesù. Il suo anelito è altrove: è passare dentro le malattie, dentro i problemi senza fine dell'umanità. Perché? Perché questa è la sua immersione preferita? Non so se interpreto bene. Ma a me sembra di capire che al problema del male, della sofferenza, al grido del dolore innocente, non ci sono risposte. E quindi non rispondere! Non rispondere con le parole al problema del male, della fatica di vivere, all'assurdo del dolore innocente. La Bibbia ospita, senza censure, quello che i nostri libri ecclesiastici mai ospiterebbero. Ospita senza censure il grido di Giobbe, e oggi l'abbiamo ascoltato: "I miei giorni sono stati più veloci di una spola, sono finiti senza speranza". Eppure Giobbe non cancella Dio: "Ricordati" -gli grida- "che un soffio è la mia vita". Quasi un appello a Dio, davanti al quale una vita non ha bisogno di chissà quali requisiti per essere ricordata: basta un soffio di vita, per essere ricordata, per essere amata da Dio: "Ricordati che un soffio è la mia vita". La risposta, al mal di vivere, non sta nelle dichiarazioni ecclesiastiche, il nodo non si scioglie con le parole: la risposta è la condivisione del male di vivere, la risposta è un Dio immerso, un Dio che sta accanto con infinita compassione; la risposta è un amore che condivide il male di vivere, la sofferenza degli umani. Nel segno di Gesù sulla suocera febbricitante di Simone non ci sono parole. I verbi sono: "avvicinatosi, la fece alzare, prendendole la mano". "Avvicinatosi": nessuna paura del contatto. "La fece alzare": è il verbo della risurrezione, la risuscita. "Prendendola per la mano", letteralmente "stringendo forte la mano": nessuna paura del corpo. Penso che la chiesa abbia molto da imparare, che tutti noi abbiamo molto da imparare, noi che abbiamo teorizzato il distacco, il non mescolarci - Roma è sacra! -, noi che abbiamo seminato il sospetto sul corpo: lui tocca il corpo, e di una donna. Che notizia buona - proprio una buona notizia! - che un libro del nostro Vescovo che abbia per titolo: "Sul corpo"! Nel Vangelo è scritto: "Le strinse forte la mano". Forse un po' più forte di quanto ce la stringiamo noi allo scambio della pace.
Fonte: sullasoglia