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L'ultima fase della vita di Gesù (L. Manicardi)

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La sequela del Maestro, conduce i discepoli lungo i medesimi sentieri, anche nella fase terminale dell'esistenza. Spazi profondi di povertà e debolezza sorgono a minacciare quella serenità del bene che si era precedentemente radicata. La forza dell'amore che vince la morte sa restituire al credente la gioia della speranza, anche quando gli orizzonti dell'esistenza appaiono troppo scuri.
La vita di Gesù, come la vita di ogni uomo, ha conosciuto una fase finale.
I vangeli, pur con differenze rilevanti, testimoniano che questa vita ha conosciuto un finale tragico e scandaloso culminato nella infamante morte di croce. Questo appare con particolare evidenza nei racconti evangelici della passione secondo Matteo e secondo Marco. Colui che ha attirato folle e creato una comunità itinerante di discepoli viene rigettato dalle folle che ne invocano la crocifissione e viene abbandonato dai discepoli che lo lasciano solo.
Colui che ha curato e guarito molte persone malate nel corpo e nella mente, ora si trova nell'impotenza di salvare chicchessia. Colui che ha annunciato l'evangelo del Regno con potenza di parola e insegnato molte cose alle folle affamate del pane della parola di Dio, ora entra progressivamente nel silenzio. Colui che ha vissuto una vita di fedeltà al Dio unico, si vede sconfessato e condannato dalle legittime autorità religiose del popolo di Dio. Colui che ha sempre nutrito una relazione personalissima e intima di confidenza con il Dio a cui si rivolgeva chiamandolo «Abbà», ora gli si rivolge con una domanda che grida l'enigma del sentirsi abbandonato da Lui. Vi è negli eventi che scandiscono l'ultima fase della vita di Gesù, qualcosa che sembra smentire tutto ciò che Gesù ha vissuto fino allora, tutta la sua fede, il suo amore, la sua speranza. In particolare, gli avversari di Gesù sembrano sintetizzare la sua vita con insulti che mettono in derisione tre piani della vita di Gesù: l'autorità che Gesù ha mostrato durante tutta la sua vita, la sua relazione di salvezza (aiuto, guarigione, perdono) nei confronti degli altri, e infine la sua stessa fede, la sua relazione personale con Dio.
«Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso» (Mt 27,39). Con questa provocazione i passanti scherniscono l'autorità di Gesù e, facendo forza sull'evidente impotenza attuale del crocifisso, sembrano annullare e dichiarare falsa anche l'autorità che Gesù ha mostrato in precedenza. Nella loro lettura la croce smentisce l'autorità che ha portato il Nazareno a pronunciare parole di giudizio su chi rendeva il tempio un luogo di mercato e a scacciarne i cambiavalute. L'autorità che emergeva dalle parole di Gesù («Gesù insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi»: Mt 7,29; Mc 1,22) e dai suoi gesti («Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato questa autorità?»: Mt 21,23; Mc 11,28), appare ora sconfessata dalla situazione di debolezza e impotenza in cui Gesù sprofonda.
Ma anche la sua relazione buona con gli altri, con le persone che ha incontrato nel cammino della sua esistenza, viene azzerata dalla lettura che ne fanno sacerdoti, scribi e anziani: «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso!» (Mt 27,42). Il finale della vita di Gesù sembra autorizzare i suoi avversari a invalidare tutto il bene che Gesù ha fatto in passato, a farlo entrare nel dimenticatoio.
E infine, dopo la sua autorità e la sua relazione con gli altri, perfino la sua fede in Dio viene messa in derisione e in discussione. «Ha confidato in Dio: lo liberi lui ora, se gli vuol bene» (Mt 27,43). L'aver avuto fiducia in Dio gli viene rinfacciato quasi come una colpa. Questo è l'atto più radicale e invadente di decostruzione e demolizione della vita precedente di Gesù, il più impudico, quello che si permette di giudicare l'intimità e l'ineffabilità della sua relazione con il Padre. L'osservatorio particolare costituito dalla fase finale dell'esistenza di Gesù appare ancora una volta come ciò che consente di leggere come fasulla l'intera sua precedente vita, perfino la sua fede.
E così un'intera vita vissuta e spesa nella donazione di sé per gli uomini e nella fedeltà obbediente al Padre, nel dare vita e nell'operare giustizia, nell'amare e nel benedire, si trova a essere sepolta sotto il peso dell'infamia che Gesù vive e subisce nei suoi ultimi momenti. Colui che passò sanando molti e benedicendo, ora si trova sprofondato nella maledizione e nell'impotenza.
È così per il Signore, può essere così anche per il discepolo che segue il Signore e che può trovarsi là dove il suo Signore si è trovato. Un'intera vita spesa nel perseguire l'amore di Dio e del prossimo, un'intera vita segnata dalla fede e dall'obbedienza, traversata dal vigore profetico della denuncia delle infedeltà a Dio e dall'instancabile opera di aiuto ai deboli e ai poveri, può venire a trovarsi in una fase finale in cui il credente appare travolto dal male e dal peccato, a causa degli eventi e degli altri. Un servo di Dio può trovarsi in una situazione simile a quella del suo Signore, o perché si fa carico del peccato e del male altrui, quello che gli altri non saprebbero reggere né portare, o perché vittima della calunnia. Viene in mente il caso del Card. Joseph Louis Bernardin, arcivescovo di Chicago dal 1982 al 1996, morto di cancro dopo aver subito l'onta di infamanti accuse false.
Ma può anche avvenire che una vita tutta segnata dalla ricerca della santità possa essere offuscata da una caduta. O che una vita spesa nell'apostolato conosca nella parte finale il male dovuto all'alienazione mentale o alla demenza. Ora, la verità di un uomo non è mai riducibile a un momento solo, fosse pure quello più vicino alla sua morte. E men che meno può essere riducibile a un momento di debolezza morale o di perdita della salute psichica o fisica. Dietro e dentro ogni uomo vi è sempre un desiderio di amore e di senso, di pienezza e di dedizione che non può essere smentito da circostanze che paio-no essere di segno contrario. Un uomo è sempre tutta la sua vita. E questo chiede ai nostri occhi e ai nostri cuori di vincere le tentazioni di giudicare, di dare sentenze, di condannare, di definire, per assumere invece uno sguardo capace di misericordia e soprattutto di longanimità, di memoria e di fede.
Lo sguardo di fede è quello che sa vedere in Gesù crocifisso il Figlio di Dio. Che sa discernere la rivelazione del volto di Dio nel Gesù che subisce ogni sorta di violenza, che appare privato di ogni dignità umana fino a vedere non rispettata neppure la sua morte, che risulta essere condannato dalle autorità religiose e bandito dalla società civile: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio» (Mt 27,55), confessa il centurione ai piedi della croce. Lo sguardo di fede sa vedere la continuità della vita di Gesù anche in quei drammatici momenti finali, sa vedere in lui il profeta anche se ridotto al silenzio dell'agnello afono, sa vedere in lui il maestro anche se privato ormai dei suoi discepoli, sa vedere in lui il Signore anche privato perfino dalla sua stessa vita. E lo sguardo che sa riconoscere e dare espressione all'amore e alla fede che Gesù continua a vivere anche allora.
È così che, narrando la passione, i vangeli ci presentano un Gesù che si rivolge a Giuda chiamandolo amico (Mt 26,50), che si volge con sguardo pieno di amore verso Pietro che 10 ha rinnegato (Lc 22,61), che guarisce il servo del sommo sacerdote ferito da uno che era con lui (Lc 22,50-51), che invoca il perdono per i suoi aguzzini (Lc 23,34), che prega il suo Dio affidandosi interamente a Colui di cui ora conosce l'abbandono, quasi gli stesse dicendo:
«Mio Dio, tu che mi hai abbandonato, tu solo sei e resti il mio Dio; in te solo, di cui ora sperimento l'abbandono, io spero e metto la fiducia». La vittoria sulla morte con la resurrezione è preceduta da questa vittoria sulla croce che si trova a essere ri-significata da colui che vi viene steso sopra.
E Gesù dà senso anche al patibolo della morte vergognosa portandovi la sua vita piena di amore per gli uomini e di obbedienza amorosa al Padre. Vi dà senso, ovvero, la vive nella libertà e nell'amore.
Anche l'ultima fase della sua vita, per quanto segnata dal male e difficilmente leggibile come fase di fedeltà a Dio, è ancora traversata dalla forza dell'amore più forte della morte. E questo dà speranza a ogni credente.
Quale che possa essere la fase finale della sua esistenza.
(in L’ancora, 5, 2005, pp. 52-54)

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