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2 Maggio 2010 V DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) (Famiglie della Visitazione)

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Giovanni 13,31-33a.34-35
31Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33aFiglioli, ancora per poco sono con voi. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

1) Quando Giuda fu uscito: nei versetti precedenti si trovano l’ultima cena con la lavanda dei piedi e successivamente la rivelazione di Gesù ai suoi discepoli che ci sarà un traditore. C’è alla fine un’ultima parola di Gesù a Giuda (quello che vuoi fare, fallo presto), che poi esce dal cenacolo, verso la notte. Gesù è profondamente turbato dalla imminenza della sua passione, ma, nello stesso tempo, perfettamente consapevole della sua ora, dell’estremo atto di amore per cui darà la vita per i suoi.
2) Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato: nel contesto della sua passione ormai prossima e quindi della sua umiliazione, Gesù pronuncia questa esclamazione, ripetuta più volte, sulla sua glorificazione. Ora, perché Giuda è uscito nella notte e il Signore ha varcato la soglia della morte, con l’inizio della sua Pasqua sta inaugurando un tempo nuovo. La glorificazione, in accordo con tutto il racconto della Passione secondo Giovanni, sta quindi nella croce, dove Gesù sarà elevato e trascinerà tutti i suoi portandoli con sé nella comunione con il Padre: «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire (Gv12,32).
3) Figlioli, ancora per poco sono con voi: Gesù anticipa ai suoi discepoli la sua separazione da loro, ma subito dopo, con il comandamento dell’amore, preannuncia il suo nuovo modo di essere presente nello Spirito Santo.
4) Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri: la misura dell’amore che deve manifestarsi nei discepoli è spropositata. Dunque viene spazzata via ogni pretesa di obbedire al comandamento nuovo appoggiandosi alle proprie forze, alle proprie capacità. Nel capitolo 14, Gesù annunciando la sua uscita dal mondo, parla in modo esplicito ai discepoli del dono dello Spirito Santo. Qui non c’è nessun accenno del genere: ma questo comandamento è comprensibile solo se i discepoli ricevono lo Spirito, che Gesù ha consegnato sulla croce al compiersi del suo sacrificio d’amore.
5) Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri: i discepoli imparano dai loro maestri la dottrina e la scienza e un esperto è capace di riconoscere nei discepoli la dottrina di chi li ha istruiti. I discepoli di Gesù hanno ricevuto in dono dal Maestro quel tipo di amore definito dal versetto precedente; quando per grazia sua questo dono si manifesta, tutti lo possono riconoscere, non c’è bisogno di spiegazioni e di indottrinamenti.


Atti 14,21b-27
In quei giorni, Paolo e Barnaba 21b ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, 22confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
23Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. 24Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia 25e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; 26di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.
27Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.

1) (Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città [Listra] e aver fatto un numero considerevole di discepoli), Paolo e Barnaba ritornarono a Listra, Iconio ed Antiochia: il testo liturgico è tagliato in modo da non riportare il riferimento all’annunzio del Vangelo da parte di Paolo e Barnaba, con cui invece inizia la pericope nel testo degli Atti. Ma è proprio il Vangelo annunziato dagli apostoli a guidare quanto poi essi compiono ed in particolare a ricondurli a visitare le comunità cristiane nate dalla loro predicazione: Così affezionati a voi avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari (1Ts 2,8). Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia. Per questo non potendo più resistere… mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla (1Ts 3,1-5).
2) Confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede… perché… dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni: il verbo “confermare” traduce un verbo che in greco ha come primo significato “rendere fermi”, “stabili”. Lo stesso verbo si trova nel Vangelo, quando il Signore si rivolge a Pietro, prima della Passione, dicendogli: E tu una volta convertito, conferma i tuoi fratelli (Lc 22,31). Gli apostoli possono confermare i discepoli nella fede solo in quanto per primi si sono convertiti alla buona notizia che annunziano, divenendo, insieme a quanti l’accolgono, partecipi della vicenda del Vangelo, che subisce l’opposizione del mondo. Alla luce del Vangelo, le tribolazioni e le persecuzioni sostenute a motivo della Parola divengono la conferma della piena partecipazione alla Pasqua del Signore di chi le patisce e, dunque, motivo di rafforzamento della fede: è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i greci cercano sapienza, noi invece  annunciamo Cristo crocefisso,scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani (1Cor 1,23). Dio Padre ci ha rigenerati , mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti,… per una speranza viva… Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete per un po’ di tempo essere afflitti da varie prove.(1Pt 1,3-8).
3) Designarono per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e dopo aver pregato il Signore e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto: il termine tradotto con “designare” deriva da una radice greca che significa tendere la mano e per questo scegliere. Gli “anziani” di queste chiese vengono dunque scelti da Paolo e Barnaba, che strutturano le comunità cristiane secondo il modello della chiesa madre di Gerusalemme (At 15,4). Il testo degli Atti sottolinea che le chiese sono affidate direttamente al Signore: Egli, che è fedele, si prende cura di chi si affida a Lui (Is 28,16; 1Pt 2,25). Anche nell’imminenza della sua prigionia Paolo rivolge parole simili agli anziani di Efeso: E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati (At 20,32).
4) Fecero vela per Antiochia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro: il testo si riferisce al racconto di Atti 13,1-3: C’erano nella Chiesa di Antiochia profeti e maestri… Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando lo Spirito santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati. Allora dopo aver digiunato e pregato imposero loro le mani e li congedarono. L’evangelizzazione non è impresa individuale: è frutto dell’iniziativa dello Spirito Santo e parte, inoltre, dalla comunione d’amore di una chiesa, quale sommamente si realizza nella divina liturgia; di questa comunione nell’amore l’evangelizzazione è un allargamento a chi ne era privo. Per questo Paolo e Barnaba appena tornati ad Antiochia radunano la Chiesa, perché siano rese grazie a Dio per quanto Egli ha compiuto attraverso la predicazione della Parola.


Apocalisse 21,1-5a
1Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
2E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
3Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
4E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
5aE Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

1) La visione del veggente Giovanni continua, e oggi il cap.21 si apre con la descrizione della Gerusalemme celeste, inserita in un contesto nuovo e diverso:
2) E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più: vengono riprese le visioni della grande tradizione ebraica successiva all’esilio babilonese (cfr. Is 25,8; 65,16-19; 66,22) che poi vengono fuse con testi del NT sul nuovo regno eterno di Dio (cfr. Mt 5,18; 19,28; Mc 13,31; 1Pt 3,12). In questa nuova realtà non c’è più il mare, segno della morte e del male (cfr. il diluvio universale, Gen7, e anche il passaggio degli ebrei sul mar Rosso, Es 14). Il tutto è certamente frutto della Pasqua che ha oramai cambiato non solo il cuore dell’uomo ma anche la chiave di lettura della realtà (già nella veglia pasquale la Pasqua veniva presentata come una nuova creazione).
3) Quindi la nuova Gerusalemme viene vista scendere dal cielo. La “città santa” (cfr. Is 52,1) è il simbolo dei popoli che celebrano le nozze con il Cristo-Agnello; essa è pronta come una sposa adorna per il suo sposo (v 2): questa realtà nuziale ci riporta ancora nella veglia pasquale (Is 54: lo sposo d’Israele, e Gv 20: l’incontro tra il Risorto e la Maddalena). L’immagine della sposa che mette le vesti più adatte e si adorna richiama fortemente Is 61,10: Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. Quello di “scendere dal cielo” è un attributo permanente della nuova Gerusalemme (cfr. Ap 3,12 e 21,10).
4) Ed essi saranno suoi popoli: finalmente la nuova traduzione CEI rende ragione ai manoscritti più autorevoli che riportano il plurale (popoli), mentre la versione del 1974 riportava il singolare, seguendo una tradizione manoscritta secondaria, che forse voleva armonizzarsi con il testo di Ez 37,27: In mezzo a loro [il popolo ebraico] sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non è un particolare irrilevante, per il veggente il nuovo popolo di Dio è quindi formato da tutti i popoli della terra, e mentre a Babilonia la gioia è cessata per sempre (Ap 18,22), la nuova Gerusalemme (quindi l’umanità tutta) non conoscerà più il dolore e la morte; il pensiero corre spontaneamente al monte delle Beatitudini (cfr. Mt 5,3-12).
5) Colui che sedeva sul trono: si parla di Dio (cfr. 4,1-11), ed è la seconda volta che parla a Giovanni (cfr. 1,8), e lo fa per annunciare un mondo nuovo iniziato dalla Pasqua del Figlio, infatti nella veglia pasquale l’apostolo ci ricordava: Per mezzo del Battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova (Rm 6,4).


SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

Tra l'antico popolo della Prima Alleanza, Israele, e le altre genti, c'è stato per secoli quello che anche Paolo cita in Efesini 2,14, "il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia". Questo "muro" proteggeva Israele dalla contaminazione con gli altri popoli. Ma ora il muro è stato abbattuto, l'inimicizia è sconfitta, perché un'unica Parola, un unico grande progetto, coinvolge tutti i popoli della terra. La Sapienza cristiana si presenta come l'annuncio della fine della categoria del nemico. Il nemico è l'inimicizia, ma l'inimicizia è stata abbattuta. Questo progetto non impone una cultura particolare, ma è capace di entrare in tutte le culture, in tutte le tradizioni, in tutte le fedi e le non fedi. L'inimicizia tra fratello e fratello che caratterizza la storia dominata dal potere di Caino, che è potere di dare la morte, è ormai finita. La sapienza cristiana non può consentire ad alcun conflitto, perché il conflitto in ogni modo nega quello che è il cuore della nuova storia proclamata e promossa per tutti. Se anche qualcuno si considerasse nemico, e magari si presentasse come nemico ingiusto e pericoloso, non c'è spazio neppure per un'ipotetica "guerra giusta", perché la nuova realtà della pace prevede che anche il più temibile avversario debba essere sconfitto donandogli la vita. La vittima è la salvezza del suo persecutore e del suo carnefice. Quello che si dice per i grandi conflitti tra i popoli, lo si deve dire per tutte le relazioni tra le persone, per ogni ambito di famigliarità, di convivenza, di appartenenza.
Si tratta veramente di "un cielo nuovo e di una nuova terra". Mentre le religioni sono spesso pericolose sorgenti di conflitti e di guerre, la sapienza cristiana è annuncio di comunione nuziale tra il cielo e la terra e quindi tra tutte le diversità e le avversità: "...non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate". È il tempo della gloria luminosa della stirpe umana, dopo una lunghissima storia di male e di morte. Dalla grande festa nuziale della storia esce l'ultimo mandante della morte, e si afferma il nuovo statuto dell'amore: "Amatevi gli uni gli altri". Capisco che queste povere parole potranno sembrare assurde, e suscitare ironia o addirittura sdegno. E certo si può dire che anche coloro che in questi ultimi duemila anni sono stati discepoli di questa straordinaria scommessa della storia, loro stessi non le sono stati fedeli. Se non pochissimi. Ma l'universalità della proposta non la si misura sul consenso e sul successo. Quello che conta è che tutto questo è semplicemente vero! Questo ci fa capire che siamo ancora in tempi primitivi e rozzi della vicenda umana. Il grande dono e la grande opportunità che la sapienza cristiana offre a tutte le generazioni della storia è questa anticipazione della fine: perché alla fine, sarà proprio così! Considerare ogni inimicizia come retaggio di vicende vecchie e superate è il segno della comprensione che ormai, malgrado tanti segni contrari, le cose ultime urgono nel cuore e nel pensiero dell'umanità.

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