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Vito Mancuso “La felicità contro la superficialità”

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intervista a Vito Mancuso
a cura di Stefania Santoni
Il T quotidiano, 5 settembre 2024

Vito Mancuso filosofo italiano, intreccia spiritualità e razionalità per dare senso al mistero dell'esistenza. In Non ti manchi mai la gioia invita a coltivare la felicita come resistenza contro la superficialita, riscoprendo la bellezza nelle piccole cose.

Riflessione centrale è l'acqua, simbolo del fluire della vita che modella l’esistenza come fa con le rocce di un flume. L'acqua racchiude la memoria della creazione, rappresentando il divenire continuo che ci guida verso la gioia nutrimento dell'anima. Di questo e molto altro Mancuso parlerà venerdì 6 settembre alle 17.30 a Comano Terme in occasione della rassegna Trentino d’autore. 


Mancuso, in «Non ti manchi mai la gioia» lei descrive i momenti di stallo come situazioni in cui ci sentiamo incapaci di avanzare. In che modo possiamo affrontare questi momenti? 

«Non c'è nulla di buono senza la chiarezza mentale che nasce dalla conoscenza. Per affrontare i momenti blocco serve saperli riconoscere: conoscere un problema non basta per risolverlo, ma ignorarlo lo aggrava quindi è essenziale prenderne coscienza. Per capire, bisogna prima capirsi. E per capirsi, è necessario ritagliarsi momenti di silenzio isolamento e solitudine, condizioni in cui anziché ascoltare gli altri, ascoltiamo noi stessi. Solo così роssiamo реrсерire il disagio e andare in profondità» … 


Nel libro evidenzia che la lotta contro l'impotenza è una costante nella storia dell’umanità. Com'è cambiata questa lotta e quali sono differenze tra passato e presente? 

«Prima ci si doveva conformare a un canone, a una tradizione, a un’autorità: l’individuo raggiungeva la sua potenza, il suo benessere, la sua realizzazione quando s’inseriva in un modello comunitario perché si viveva in una società religiosa nel senso sociologico del termine. Mi riferisco a ciò che rilega e unisce. Anche se uno non credeva o non partecipava ai sacramenti, la società rimaneva un punto di riferimento. Ora abbiamo una fortissima individualizzazione, non c’è più un riferimento collettivo, ciascuno è signore di sé stesso. L’individualizzazione accoglie aspetti negativi, come l’individualismo, ma anche positivi come la valorizzazione dell’individualità». 


Lei parla di una fede moderna che celebra il culto dell’Io, paragonandola a una forma di narcisismo. Quali sono i pericoli? Il narcisismo contribuisce a una sensazione di prigionia interiore? 

«I pericoli di questa deriva li trovai scritti in maniera profetica da Shakespeare, in Troilo e Cressida: “Tutto avrà nome potere e il potere volontà, e la volontà desiderio e il desiderio, lupo universale, assecondato doppiamente dalla volontà e dal potere farà dell’intero universo la sua preda per poi, alla fine, divorar sé stesso“. Una frase scritta nel 1600 che trova oggi una totale realizzazione. Questo lupo universale che ognuno di noi ha dentro di sé non conosce ostacoli e desidera. La manifestazione del narcisismo si verifica quando siamo convinti che non ci sia niente di superiore al proprio io, al proprio desiderio. E il risultato è l’appetito da lupo. Il lupo universale di cui parla Shakespeare vuole fare dell’intero universo la sua preda per poi divorare sé stesso. Ma noi siamo relazione: stiamo bene quando siamo in una relazione armoniosa. Quando l’armonia delle relazioni viene meno a causa dell’aggressività del desiderio, sul momento, chi vince ha un senso di potere e pensa di stare bene. Ma poi viene divorato. Per questo il desiderio come divinità assoluta ci consegna a una solitudine ontologica». 


Come possiamo aprirci a una vita più autentica? 

«Capendo la nostra posizione: si tratta di compiere all’interno di noi quella fondamentale rivoluzione copernicana, cioè passare dall’immaturo geocentrismo, ovvero l’egocentrismo, alla maturità di chi comprende di non essere il centro perché il centro non esiste, si va costruendo mano a mano. La maturità consiste nel trovare qualcosa di più importante del nostro singolo desiderio trasformandolo in aspirazione. Non si tratta di sopprimere il desiderio, come sottolineano alcune tendenze religiose e ascetiche, ma di riorientarlo. Questo avviene col passaggio all’eliocentrismo, quando troviamo la stella attorno cui gravitare. E comprendiamo la portata delle relazioni rispetto ai grandi valori come il Bene, la Giustizia, la Bellezza, la Verità, l’Amore». 


Come raggiungere un equilibrio interiore? 

«Ognuno deve trovare la via giusta per sé. La spiritualità è ad personam. Ci sono persone per le quali la via giusta è la preghiera del rosario, per altre invece è impossibile pensarlo e preferiscono la meditazione buddista. Altre ancora raggiungono l’equilibrio camminando nella natura, nella musica, nelle chiese vuote. Ciò che è decisivo è la connessione con qualcosa che è più grande di noi, quella metanoia, cioè il cambiamento della mente che consiste nel seguire la stella proprio come scrisse Dante nelle parole che fa pronunciare a Brunetto Latini: “Se tu segui tua stella, non fallirai a glorioso porto”. La ricerca spirituale consiste nel trovare la tua vita, quella che ti mette maggiormente in pace con te stesso e in connessione con il centro del mondo, con l’anima mundi». 


Che cosa rappresenta per lei la gioia profonda di vivere? 

«È necessario fare una distinzione tra felicità e gioia. La prima riguarda la psiche e richiede movimento: è quando saltiamo, gridiamo, corriamo. La gioia, quella vera, è pace interiore. Non è una risata ma un mezzo sorriso, come dicono gli spirituali. È la pace del cuore, la quiete di chi si sente a casa, al sicuro. È avere la possibilità di affidare il proprio spirito». 


Un’ultima domanda. Nel suo pensiero quale significato attribuisce all’acqua, sia in senso letterale che simbolico? 

«Non esiste cosmogonia al mondo che non ponga all’inizio di tutte le cose l’acqua. La mente umana lo ha sentito fin dal principio come elemento originario della vita. E oggi lo attesta la scienza: la vita è nata in ambiente acquatico. Perché l’acqua favorisce le relazioni tra gli elementi: li scioglie, li ammorbidisce. E li rende capaci di relazionarsi l’uno con l’altro».





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