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Enzo Bianchi "Quel faticoso primato della coscienza"

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Jesus - Bisaccia del mendicante - Luglio 2020
dal sito del Monastero di Bose

Ha affermato il concilio Vaticano II: "Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire.
Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa’ questo, evita quest’altro … La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità" (Gaudium et spes 16).

Cos’è dunque la coscienza? È la voce di Dio in ogni uomo creato a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,26-27), capace di bene e di male. È per ogni persona il criterio ultimo e definitivo del proprio pensare, parlare e agire.

Nell’ebraico biblico non c’è un termine corrispettivo del nostro “coscienza”. Nella traduzione latina delle Scritture il termine conscientia appare 35 volte, di cui solo 3 nell’Antico e 32 nel Nuovo Testamento. I termini ebraici “conoscere” (jada‘) e “cuore” (leb), nonché quello greco syneídesis, confluiscono con la loro ricchezza semantica nel nostro concetto di “coscienza”. In particolare, un’espressione fondamentale è “cuore che ascolta” (1Re 3,9), chiesto in dono a Dio da Salomone per poter discernere come svolgere il suo compito di re: il cuore capace di ascoltare la voce della verità, la voce di Dio che gli indica il sentiero. Paolo, dal canto suo, afferma: “Tutto ciò che non viene dalla coscienza è peccato” (Rm 14,23), parole riprese dall’assioma: “Chi agisce contro la propria coscienza merita la condanna”.

La coscienza è voce di Dio, eco della Parola che risuona nell’intimità pur sempre limitata e condizionata dell’uomo. Essa è pure un’eco dello Spirito santo, eco riflessa dalla libertà di cui ogni persona è dotata, sempre condizionata dalla stessa condizione umana. Certo, per esercitare la coscienza occorre poter dire “io”, e quindi condizione preventiva è che ci sia uno spazio di libertà per questo “io”. Ciò però nella consapevolezza che su ciascuno pesano vari condizionamenti: la storia sociale, familiare, personale, le strutture che ci plasmano, la cultura in cui siamo immersi, le alterazioni dovute al peccato…

È sul terreno della coscienza che tutti gli umani dovrebbero confrontarsi per camminare insieme. È la coscienza l’organo da esaltare per indicare la vera dignità di ogni uomo e di ogni donna: un organo che va assolutamente esercitato, per lasciare alle nuove generazioni un abbozzo di criticità, di resistenza, per abilitarle alle scelte che esse dovranno, con responsabilità e creatività, assumere ed esercitare.

Il cristiano non dimentichi dunque la realtà della coscienza, perché è in essa che Dio può parlare

  • quando legge le Scritture, sappia che nella sua coscienza esse possono diventare Parola indirizzata personalmente a lui
  • quando pensa, si eserciti nel discernimento interrogandosi a lungo e non cercando risposte facili. È infatti nella coscienza che, attraverso l’esercizio della critica e del confronto, si può aprire il cammino verso la verità;
  • quando prega, cerchi anzitutto di ascoltare più che di parlare a Dio (cf. 1Sam 3,9). La voce di Dio è “un silenzio sottile” (1Re 19,12), e se a volte egli sembra muto è perché la sordità del credente diventa impedimento a un vero ascolto;
  • quando sceglie, invochi lo “Spirito di sapienza e di discernimento” (Is 11,2), dono sempre rinnovato a chi lo invoca (cf. Lc 11,13). È lo Spirito che illumina e dà forza e coraggio, parrhesía.

La coscienza non è una voce che ci ricorda una legge “già fatta”, da applicare in modo meccanico, ma ci chiede creatività e profezia nel discernere situazioni nuove, sempre illuminate dal principio fondamentale dell’amore. Per questo è inviolabile, è un santuario, è il tesoro che ogni umano ha ricevuto in dono da Dio.

La coscienza deve essere aiutata a scoprire i suoi errori, deve confrontarsi, ma nessuna autorità umana ha il diritto di conculcare la coscienza personale. Nessuna autorità, al limite neanche il papa, secondo la famosa frase di John Henry Newman: “Se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo …, allora brinderei per il papa. Ma prima per la coscienza e poi per il papa”.
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