Enzo Bianchi "Un serio ritorno dei cattolici alla politica"
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose
Viviamo in un tempo contrassegnato dalla “crisi”, nella quale io leggo soprattutto una situazione di “aporia”. Aporia come incertezza, come non comprendere e non sapere, come non saper dire né decidere, fare delle scelte…
E questo proprio perché manca l’operazione faticosa e paziente del discernimento, della lettura dei segni dei tempi e delle urgenze emergenti oggi nel nostro mondo globalizzato, certo, ma un mondo che va innanzitutto letto e compreso come mondo occidentale ed europeo, il nostro mondo.
E cosa osserviamo in quest’ora? Un’incapacità dei cattolici di stare nella polis, un’afonia dovuta a un’astenia della loro fede, ma anche a un allontanamento, ormai consumatosi, dall’impegno politico cristianamente ispirato. Come ha scritto Severino Dianich, “l’attuale insignificanza dei cattolici in politica è il sintomo di un avvenuto scollamento della vita di fede del credente dalla percezione delle sue responsabilità politiche”. Va detto che i laici cattolici sono stati delegittimati e di fatto sostituiti da soggetti ecclesiastici che negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi anni del nostro hanno avocato solo a sé il discernimento sulla situazione sociale, culturale e politica italiana, fino a intervenire direttamente in materie la cui competenza sarebbe appartenuta di diritto ai laici stessi. Così si è negata ai laici cattolici la possibilità di essere cristiani maturi, adulti, cristiani appartenenti a un popolo “regale”, e si è spenta la loro presenza, si è zittita la loro voce, non permettendo loro di esprimere la capacità di testimonianza nella polis.
Ora, se è vero che “la chiesa” – come più volte ha ricordato Benedetto XVI – “non è e non intende essere un agente politico”, spetta invece ai cittadini cattolici una funzione immediata nel partecipare in prima persona alla vita pubblica “senza abdicare alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere il bene comune” (Benedetto XVI, Deus caritas est 29). Quali sono le modalità in cui tale partecipazione può avvenire?
Un’ipotesi che in questi ultimi anni si manifesta tramite la voce di figure autorevoli del laicato cattolico e anche della gerarchia è quella di rifondare un partito di ispirazione cattolica. Gastone Simoni, vescovo emerito di Prato, ne ha parlato in alcuni interventi molto articolati. Scriveva il 30 agosto scorso: “Mi parrebbe venuta l’ora per stringere i tempi e arrivare all’evento fondativo di un nuovo soggetto politico non oltre i prossimi mesi del 2019”. Non si tratta di fondare un partito cattolico – precisa il vescovo – ma “della nascita di un nuovo partito democratico di piena ispirazione cristiana … che, come tale, sia impegnato a tradurre laicamente e democraticamente l’intera gamma dei valori personalistici e comunitari propri della visione antropologica-storica che Paolo VI sintetizzava, nella Populorum progressio (nn. 42-43), come ‘lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini’”.
Si auspica la partecipazione alla politica da parte di cattolici, attraverso “un partito promosso certamente da cattolici ma aperto ad altri purché non avversi ai fondamentali valori dell’‘umanesimo integrale’”. L’esito potrà essere “un fatto più o meno piccolo, minoritario, sì, ma non insignificante di testimonianza cristiana in questo” momento “di emarginazione del pensiero e dello spirito cristiano”. Sempre secondo Simoni, questo soggetto dovrà superare in modo deciso “quella divisione tra i ‘cattolici della morale’ (o dei valori cosiddetti non negoziabili) e i ‘cattolici del sociale’, secondo quanto più volte ha detto e richiesto il cardinale Bassetti”, presidente della CEI. In questo stesso solco, va segnalata, più di recente (31 ottobre 2019), la pubblicazione di un “Manifesto per la costruzione di un soggetto politico ‘nuovo’ d’ispirazione cristiana e popolare”, già sottoscritto da centinaia di persone e decine di gruppi e associazioni, tra cui “Politica Insieme”, di cui fa parte Stefano Zamagni, capo della Pontificia accademia delle scienze sociali.
Questa è un’ipotesi, una scommessa, verso la quale va il mio rispetto, anche se ravviso in essa alcune ingenuità nella concreta possibilità di realizzazione. Credo infatti che oggi non sia sufficiente convocare, radunare ma, se si vuole compiere un’operazione politica efficace e duratura, occorre dedicare molto tempo alla formazione, a un cammino ecclesiale e nella polis di ascolto attento e continuo di ciò che emerge dalla convivenza sociale.
L’altra ipotesi, peraltro ancora da precisare, è quella di un sinodo per l’Italia, su cui già ho riflettuto, proprio in questa rubrica, nell’aprile scorso. La sinodalità – lo ribadisco – non è un’opzione possibile, ma è la forma in cui vive la chiesa, la comunità cristiana: si tratta di camminare insieme per leggere insieme il cammino percorso, per discernere i segni dei tempi e ciò che è urgente secondo l’egemonia del Vangelo, per decidere e operare insieme nella storia e nella convivenza umana. Se questo è il cammino, ben distante dalle preoccupazioni di un partito di ispirazione cattolica, occorrerà avere come obiettivo un impegno diretto nella politica da parte dei cristiani, nella consapevolezza che questo appartiene alla testimonianza cristiana ed è un dovere che non può essere evaso, quale segno concreto della differenza cristiana nella compagnia degli uomini.
Proprio in questo alveo della sinodalità come processo e stile per la vita dei cristiani nella comunità e nel mondo, da almeno trent’anni, ossia dall’ora della grande crisi apertasi proprio riguardo alla partecipazione dei cattolici alla vita politica, e in questi anni della grande afonia, ho proposto una via concreta, un metodo che permetterebbe una polifonia di voci e di azioni ispirate però da una stessa fede. Contro ogni tentazione di integralismo e di ricerca di una presenza “occupante” nella politica, a mio avviso i cattolici dovrebbero imparare ad abitare lo spazio in cui regna Cesare senza per questo renderlo uno spazio teocratico. Finita la stagione della cristianità, finita la stagione del partito cattolico ed esauritosi il “progetto culturale”, occorre veramente iniziare un nuovo percorso che può solo realizzarsi mediante una prassi ecclesiale vissuta innanzitutto a livello di comunità cristiane e di chiese locali.
La proposta è dunque quella di dare vita nelle nostre chiese locali, diocesane o regionali, a uno spazio al quale tutti i cattolici che si sentono responsabili nella vita ecclesiale e nella società possano essere convocati e quindi partecipare. Non un’assemblea dei soliti scelti o eletti in base all’appartenenza ad associazioni o istituti pastorali, ma un’assemblea realmente aperta a tutti, che sappia convocare uomini e donne muniti solo della vita di fede, della comunione ecclesiale, della consapevole collocazione nella compagnia degli uomini. Si tratta di chiamarli a esprimersi in merito a una lettura della vita sociale, delle urgenze che emergono e perciò in merito a un ascolto del Vangelo.
Questo sarebbe un confronto in cui si esaminano i problemi che si affacciano sempre nuovi nella vita del paese e si cerca di discernere insieme le ispirazioni provenienti dal primato del Vangelo. Da questo ascolto reciproco, da questo confronto, possono emergere convergenze pre-politiche, pre-economiche, pre-giuridiche che confermano l’unità della fede ma lasciano la libertà della loro realizzazione plurale insieme ad altri soggetti politici nella società. Un forum, dunque, uno spazio pubblico reale in cui pastori e popolo di Dio insieme, in una vera sinodalità, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle chiese e facciano discernimento per trarre indicazioni e vie di testimonianza, di edificazione della polis e della convivenza buona nella giustizia e nella pace. È in questo spazio che si possono delineare le istanze evangeliche irrinunciabili, che poi i singoli cattolici con competenza e responsabilità tradurranno in impegni e azioni diverse a livello economico, politico e giuridico.
Così sarebbe assicurata l’unità dell’ispirazione evangelica, ne sarebbe garantita l’autenticità, senza tentazioni di integralismo, dando vita a “una polifonia ispirata a una stessa fede e costruita con molteplici suoni e strumenti” (papa Francesco, 4 marzo 2019, Udienza a un gruppo della Pontificia Commissione per l’America Latina).
E questo proprio perché manca l’operazione faticosa e paziente del discernimento, della lettura dei segni dei tempi e delle urgenze emergenti oggi nel nostro mondo globalizzato, certo, ma un mondo che va innanzitutto letto e compreso come mondo occidentale ed europeo, il nostro mondo.
E cosa osserviamo in quest’ora? Un’incapacità dei cattolici di stare nella polis, un’afonia dovuta a un’astenia della loro fede, ma anche a un allontanamento, ormai consumatosi, dall’impegno politico cristianamente ispirato. Come ha scritto Severino Dianich, “l’attuale insignificanza dei cattolici in politica è il sintomo di un avvenuto scollamento della vita di fede del credente dalla percezione delle sue responsabilità politiche”. Va detto che i laici cattolici sono stati delegittimati e di fatto sostituiti da soggetti ecclesiastici che negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi anni del nostro hanno avocato solo a sé il discernimento sulla situazione sociale, culturale e politica italiana, fino a intervenire direttamente in materie la cui competenza sarebbe appartenuta di diritto ai laici stessi. Così si è negata ai laici cattolici la possibilità di essere cristiani maturi, adulti, cristiani appartenenti a un popolo “regale”, e si è spenta la loro presenza, si è zittita la loro voce, non permettendo loro di esprimere la capacità di testimonianza nella polis.
Ora, se è vero che “la chiesa” – come più volte ha ricordato Benedetto XVI – “non è e non intende essere un agente politico”, spetta invece ai cittadini cattolici una funzione immediata nel partecipare in prima persona alla vita pubblica “senza abdicare alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere il bene comune” (Benedetto XVI, Deus caritas est 29). Quali sono le modalità in cui tale partecipazione può avvenire?
Un’ipotesi che in questi ultimi anni si manifesta tramite la voce di figure autorevoli del laicato cattolico e anche della gerarchia è quella di rifondare un partito di ispirazione cattolica. Gastone Simoni, vescovo emerito di Prato, ne ha parlato in alcuni interventi molto articolati. Scriveva il 30 agosto scorso: “Mi parrebbe venuta l’ora per stringere i tempi e arrivare all’evento fondativo di un nuovo soggetto politico non oltre i prossimi mesi del 2019”. Non si tratta di fondare un partito cattolico – precisa il vescovo – ma “della nascita di un nuovo partito democratico di piena ispirazione cristiana … che, come tale, sia impegnato a tradurre laicamente e democraticamente l’intera gamma dei valori personalistici e comunitari propri della visione antropologica-storica che Paolo VI sintetizzava, nella Populorum progressio (nn. 42-43), come ‘lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini’”.
Si auspica la partecipazione alla politica da parte di cattolici, attraverso “un partito promosso certamente da cattolici ma aperto ad altri purché non avversi ai fondamentali valori dell’‘umanesimo integrale’”. L’esito potrà essere “un fatto più o meno piccolo, minoritario, sì, ma non insignificante di testimonianza cristiana in questo” momento “di emarginazione del pensiero e dello spirito cristiano”. Sempre secondo Simoni, questo soggetto dovrà superare in modo deciso “quella divisione tra i ‘cattolici della morale’ (o dei valori cosiddetti non negoziabili) e i ‘cattolici del sociale’, secondo quanto più volte ha detto e richiesto il cardinale Bassetti”, presidente della CEI. In questo stesso solco, va segnalata, più di recente (31 ottobre 2019), la pubblicazione di un “Manifesto per la costruzione di un soggetto politico ‘nuovo’ d’ispirazione cristiana e popolare”, già sottoscritto da centinaia di persone e decine di gruppi e associazioni, tra cui “Politica Insieme”, di cui fa parte Stefano Zamagni, capo della Pontificia accademia delle scienze sociali.
Questa è un’ipotesi, una scommessa, verso la quale va il mio rispetto, anche se ravviso in essa alcune ingenuità nella concreta possibilità di realizzazione. Credo infatti che oggi non sia sufficiente convocare, radunare ma, se si vuole compiere un’operazione politica efficace e duratura, occorre dedicare molto tempo alla formazione, a un cammino ecclesiale e nella polis di ascolto attento e continuo di ciò che emerge dalla convivenza sociale.
L’altra ipotesi, peraltro ancora da precisare, è quella di un sinodo per l’Italia, su cui già ho riflettuto, proprio in questa rubrica, nell’aprile scorso. La sinodalità – lo ribadisco – non è un’opzione possibile, ma è la forma in cui vive la chiesa, la comunità cristiana: si tratta di camminare insieme per leggere insieme il cammino percorso, per discernere i segni dei tempi e ciò che è urgente secondo l’egemonia del Vangelo, per decidere e operare insieme nella storia e nella convivenza umana. Se questo è il cammino, ben distante dalle preoccupazioni di un partito di ispirazione cattolica, occorrerà avere come obiettivo un impegno diretto nella politica da parte dei cristiani, nella consapevolezza che questo appartiene alla testimonianza cristiana ed è un dovere che non può essere evaso, quale segno concreto della differenza cristiana nella compagnia degli uomini.
Proprio in questo alveo della sinodalità come processo e stile per la vita dei cristiani nella comunità e nel mondo, da almeno trent’anni, ossia dall’ora della grande crisi apertasi proprio riguardo alla partecipazione dei cattolici alla vita politica, e in questi anni della grande afonia, ho proposto una via concreta, un metodo che permetterebbe una polifonia di voci e di azioni ispirate però da una stessa fede. Contro ogni tentazione di integralismo e di ricerca di una presenza “occupante” nella politica, a mio avviso i cattolici dovrebbero imparare ad abitare lo spazio in cui regna Cesare senza per questo renderlo uno spazio teocratico. Finita la stagione della cristianità, finita la stagione del partito cattolico ed esauritosi il “progetto culturale”, occorre veramente iniziare un nuovo percorso che può solo realizzarsi mediante una prassi ecclesiale vissuta innanzitutto a livello di comunità cristiane e di chiese locali.
La proposta è dunque quella di dare vita nelle nostre chiese locali, diocesane o regionali, a uno spazio al quale tutti i cattolici che si sentono responsabili nella vita ecclesiale e nella società possano essere convocati e quindi partecipare. Non un’assemblea dei soliti scelti o eletti in base all’appartenenza ad associazioni o istituti pastorali, ma un’assemblea realmente aperta a tutti, che sappia convocare uomini e donne muniti solo della vita di fede, della comunione ecclesiale, della consapevole collocazione nella compagnia degli uomini. Si tratta di chiamarli a esprimersi in merito a una lettura della vita sociale, delle urgenze che emergono e perciò in merito a un ascolto del Vangelo.
Questo sarebbe un confronto in cui si esaminano i problemi che si affacciano sempre nuovi nella vita del paese e si cerca di discernere insieme le ispirazioni provenienti dal primato del Vangelo. Da questo ascolto reciproco, da questo confronto, possono emergere convergenze pre-politiche, pre-economiche, pre-giuridiche che confermano l’unità della fede ma lasciano la libertà della loro realizzazione plurale insieme ad altri soggetti politici nella società. Un forum, dunque, uno spazio pubblico reale in cui pastori e popolo di Dio insieme, in una vera sinodalità, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle chiese e facciano discernimento per trarre indicazioni e vie di testimonianza, di edificazione della polis e della convivenza buona nella giustizia e nella pace. È in questo spazio che si possono delineare le istanze evangeliche irrinunciabili, che poi i singoli cattolici con competenza e responsabilità tradurranno in impegni e azioni diverse a livello economico, politico e giuridico.
Così sarebbe assicurata l’unità dell’ispirazione evangelica, ne sarebbe garantita l’autenticità, senza tentazioni di integralismo, dando vita a “una polifonia ispirata a una stessa fede e costruita con molteplici suoni e strumenti” (papa Francesco, 4 marzo 2019, Udienza a un gruppo della Pontificia Commissione per l’America Latina).