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Enzo Bianchi Stare al centro

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Jesus Aprile 2017
Rubrica La bisaccia del mendicante
dal sito del Monastero di Bose

Nel cammino quaresimale con la sua ardente tensione verso la Pasqua siamo chiamati ogni anno a interrogarci nuovamente su quale sia il “centro” della nostra fede e come ci collochiamo rispetto a questo cuore pulsante che è altro da noi e, al contempo, capace di determinare le nostre vite.
Stare “in mezzo”, stare “al centro” significa avere un posto di riguardo, verso il quale sono rivolti gli sguardi di tutti, attorno al quale tutto è disposto in modo da convergere verso di esso. Al centro ottico di una chiesa c’è l’altare, al centro di un’assemblea c’è il tavolo della presidenza… Sta al centro, sta in posizione mediana, in mezzo, colui al quale si rivolgono gli sguardi, gli orecchi e soprattutto l’attenzione; sta in mezzo, così da essere visibile da tutti e da tutti essere riconosciuto.

In senso chiaramente metaforico è al centro, in mezzo, colui che è il primo di tutti, che tiene una posizione da amare e venerare, posta come esemplare. Ognuno di noi sente dentro di sé il desiderio di stare al centro, di essere al centro dell’attenzione e degli sguardi degli altri, di essere nella posizione “migliore”. In verità il comandamento primo: “Amerai il Signore tuo Dio” (Dt 6,5; Mc 12,30 e par.) significa innanzitutto: “Non amerai te stesso al di sopra di tutti e di tutto”. Dunque il comandamento biblico esige il decentramento dell’amore da se stessi, per amare Dio, quindi per amare il prossimo come se stessi (cf. Lv 19,18; Mc 12,31 e par.).

A sua volta la chiesa è decentrata rispetto al Signore, sebbene sia chiamata a essere il suo corpo (cf. 1Cor 12,27; Ef 1,23, ecc.), la sua fidanzata (cf. 2Cor 11,2; Ap 21,9). In particolare, nella chiesa ogni cristiano – sia papa, vescovo, presbitero, monaco o semplice fedele – non deve mai stare al centro. Forse è proprio per questa corsa al centro da parte dei suoi discepoli (“discutevano tra loro che era il più grande”: Mc 9,34) che Gesù un giorno “preso un bambino, lo pose in mezzo a loro, al centro, e abbracciandolo disse loro: ‘Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me’” (Mc 9,36-37). Gesù mise al centro un piccolo, un essere fragile, uno che era sempre decentrato rispetto alla società, nella quale non contava nulla, perché era un ultimo.

L’arte del decentrarsi è l’arte cristiana per eccellenza! La si impara da Cristo, sempre decentrato rispetto al Regno che proclama e a Dio Padre che lo ha inviato nel mondo; sempre nella forma del servo, dell’ultimo, anche quando sta in mezzo ai suoi fratelli: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Se si ama, ci si decentra per il bene dell’altro, per il bene comune, perché non ci si sente al centro ma tra gli altri. L’arte del decentrarsi dovrebbe soprattutto far parte dell’acquisizione dello stile cristiano. Perché il cristiano prima di preoccuparsi di evangelizzare, annunciando a parole il Vangelo, dovrebbe imparare a fare posto a Cristo, in modo che il Signore sia presente come Signore accanto a lui quando il cristiano sta nella compagnia degli uomini. L’acquisizione dello stile cristiano richiede di vincere il bisogno di stare al centro e, di conseguenza, richiede di assumere un atteggiamento di discrezione che sempre riconosce la centralità del Signore. “È il Signore” (Gv 21,7) e “sta in mezzo” (cf. Gv 20,19.26)! Non è assente e non lo si sostituisce per procura, ma è accanto e lo si indica, gli si fa segno. Si tratta a volte di ritirarsi in disparte, altre volte di lasciare la presa della mano che si è stretta; si tratta di lasciare che l’altro cammini senza pretendere di camminare sempre accanto a lui; si tratta di mostrare concretamente all’altro che il centro sta in Dio e che non si vuole diventare il centro di una relazione.

La conversione al Signore che la Quaresima ci esorta a compiere ci riporti a essere il semplice dito del Battista nella pala della Crocifissione di Grünewald, un dito che indica Cristo: colui che è al centro come Signore e come Agnello “in mezzo ai candelabri” (Ap 1,13), “in mezzo al trono” (Ap 5,6). Chi non sa decentrarsi, chi non sa scegliere l’ultimo posto (cf. Mc 9,35), lo sappia o meno, è un idolatra di se stesso, malato di philautía, incapace di riconoscere in verità l’altro, gli altri, l’Altro.
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