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Enzo Bianchi "Accogliamo chi è solo a Natale"

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La Repubblica - 23 dicembre 2019
dal sito del Monastero di Bose

Siamo alla vigilia di Natale, una festa ormai “tradizionale”, celebrata non solo dai cristiani, i quali fanno memoria della nascita di Gesù a Betlemme, del suo venire al mondo da una donna, Maria di Nazaret, di un evento umanissimo ma capace di grandi significati: una nascita nella povertà, una speranza messa in questo bambino da parte di poveri pastori e sapienti giunti dall’Oriente, una persecuzione a opera del potere tirannico di Erode.
Tutti eventi e messaggi che nella cultura occidentale, anche se non sono ricordati in un’ottica di fede, restano eloquenti per molti.
Questa festa si impone ancora oggi nella nostra società secolarizzata e ridesta sentimenti, ispira comportamenti, accresce desideri di pace, di felicità. E non possiamo dimenticare che questa ricorrenza è sentita come pesante e faticosa da vivere per chi è solo, per chi non ha nessuno con cui fare festa.
I cattolici sono stati invitati da papa Francesco a non abbandonare la tradizione del presepe fatto in casa, soprattutto dai bambini. Tutti noi ricordiamo come nella nostra infanzia la preparazione del presepe ci impegnava a ricercare il muschio dei boschi, a meritarci il dono delle statuine dei personaggi, a predisporre luci e candeline perché fosse una presenza gioiosa e capace di infondere alla casa un’atmosfera speciale. Accanto al presepe trovavamo i doni di Gesù bambino, tanto atteso, spesso proporzionati all’andamento scolastico.
Oggi tutto è profondamente mutato, ma il presepe può ancora comunicarci un messaggio, perché rappresenta il convergere di poveri e modesti pastori, di viandanti e stranieri, di pellegrini e mendicanti, di sapienti e re attorno a un neonato, invocato come re dei poveri e di quanti attendono giustizia e libertà. Il presepe convoca tutti, attorno a esso non vi sono muri, né barriere, né confini; resta solo minaccioso, ma lontano, il castello di Erode, il potente tiranno.
Recentemente alcuni cristiani hanno preso a organizzare pranzi per i poveri e per chi è solo, in sale parrocchiali o in chiese. Azioni buone, certamente, ma io sogno che proprio in questi giorni delle feste ogni famiglia, ogni nucleo di convivenza chiami alla propria tavola qualcuno che è solo tra gli immigrati, i poveri, i vecchi: sì, alla propria tavola! Sarebbe un’azione capace di esprimere condivisione e solidarietà non ostentate: la semplice accoglienza di uomini e donne come noi, strappati alla loro solitudine e invitati a fare festa insieme a noi.
Questo sarebbe un vero Natale, una natività della comunione umana. E sono certo che Gesù Cristo, il Dio dei cristiani, in questo modo si sentirebbe compreso e accolto qui e ora. Proprio come scriveva nel XVII secolo il mistico Silesio: “Nascesse pure Gesù mille volte a Betlemme, a nulla vale se non nasce in te”. Ovvero: “Puoi accogliere mille volte Gesù con un presepe, ma se non accogli in casa tua chi è bisognoso, a nulla vale!”.
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