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VIII domenica del tempo Ordinario (Luciano Manicardi) 27 febbraio 2011

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Anno A
Is 49,14-15; Sal 61; 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34 
Le immagini della madre (I lettura) e del padre (vangelo) designano la cura di Dio per l’uomo. L’atteggiamento per cui Dio si prende cura dell’uomo si fonda sulla sua memoria, sulla memoria vissuta come responsabilità: “Si dimentica forse una donna del suo bambino? … Anche se costoro si dimenticassero, io non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). 
Il testo evangelico afferma la bontà provvidente di Dio per gli umani. Ma come il vangelo ci chiede di intendere la provvidenza, che era un’idea ben nota già alla filosofia stoica? Se spesso la provvidenza, intesa come forma del rapporto tra Dio e mondo, designa l’onnipotenza divina che governa il corso delle cose, dal cosmo fino all’individuo, il passo evangelico suggerisce di intenderla anzitutto come modalità di porsi dell’uomo davanti al mondo, alla vita e al Creatore.
Non a caso il testo mette in guardia il credente dalle preoccupazioni, dagli affanni e dall’inquietudine. Questa modalità di porsi davanti a Dio e al mondo è interna all’atto di fede. “Sentirsi amato: così potremmo riassumere l’esperienza che noi possiamo fare della provvidenza. Essere amato, ovvero, sentire di esistere per qualcuno, ma anche grazie a qualcuno” (Michel Deneken). L’atto di fede conosce anche il tono della fiducia e dell’abbandono confidente, del sentirsi preceduto e accolto, raggiunto e visitato, destinatario della cura del Dio fedele. Non si tratta di un atteggiamento banalmente ottimistico o spiritualistico, dimentico della dimensione del tragico e dell’irredento che traversa il mondo, ma della coscienza di filialità che unisce il credente al suo Creatore e che suscita in lui la solidarietà con tutte le creature, la comunione con il creato e la responsabilità verso gli altri uomini.
L’affermazione evangelica della provvidenza di Dio non solo non produce disimpegno, ma tende a portare il credente all’essenziale, liberandolo da ciò che può divenire ostacolo al pieno dispiegamento della vita e della fede. La fede nel Dio che “sa ciò di cui avete bisogno” (cf. Mt 6,32) libera lo sguardo dell’uomo dal rinchiudersi nelle proprie ristrettezze e dalla tentazione idolatrica. Lo sguardo di Dio è appunto lo sguardo che pro-vede, “vede anticipatamente” e “vede in favore di”: vede oltre i bisogni umani e mira a ciò che essenziale e più profondo nell’uomo - il suo desiderio - e lo orienta. “Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Ovviamente, questo discorso, che Gesù fa a persone che hanno liberamente deciso di impegnare la loro vita nel discepolato, non può essere rivolto a chi vive nella miseria e muore di fame.
Gesù invita a non affannarsi per il domani, ma a vivere ogni giorno come oggi di Dio. L’attimo presente è il frammento di tempo e di vita in cui si può vivere con pienezza il senso del tempo e della vita, ovvero l’amore per il Signore e per le creature. Lungi dall’essere una fuga dalla realtà, questa indicazione radica il credente nell’oggi e lo chiama a viverlo davanti a Dio. Ha scritto sr. Odette Prévost, uccisa in Algeria il 10 novembre 1995: “Vivi l’oggi: Dio te lo offre, è tuo, vivilo in Lui. Il domani è di Dio, non ti appartiene. Non trasferire sul domani la preoccupazione di oggi: il domani è di Dio, rimettilo in Lui. Il momento presente è un fragile ponte: se lo appesantisci con i dispiaceri di ieri e con l’inquietudine di domani, il ponte cede e tu non puoi passare. Il passato? Dio lo perdona. Il futuro? Dio lo dona. Vivi l’oggi in comunione con lui”.
L’adesione all’oggi è misura di protezione dalla tentazione di voler possedere il futuro e di aver presa sul domani. Essa si oppone al diffuso consumismo del tempo che si nutre di oroscopi e di astrologia ed è ciò che consente di sperare: “C’è speranza solo là dove si accetta di non vedere il futuro” (fr. Christian, monaco di Tibhirine).
L’esempio degli uccelli che non seminano e non mietono non vuole certo proporre atteggiamenti di disimpegno o di fuga dal lavoro, ma ricordare che non l’uomo è per il lavoro, ma il lavoro è per l’uomo. Il lavoro, così come la ricchezza, può schiavizzare l’uomo, invece di aiutarne il processo di liberazione.

LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero


Fonte: MonasterodiBose
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