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Roberto Mancini "Se educare è liberare"

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Roberto Mancini

Il senso dell’educare non si risolve nell’estrarre il meglio da ciascuno. 
Educare è anche far incontrare chi si sta formando con le forze educative del mondo, siano proprie della natura o della creatività umana. Inoltre oggi è diventato più chiaro di sempre che educare è liberare. Un’azione educativa che non sia liberatrice – come dicono Paulo Freire e le altre grandi figure della storia dell’educazione – è solo addestrativa, è un atto di dominio che riduce le persone a «risorse umane» o a scarti ed esuberi del sistema. 
In ogni tempo educare implica il compito di liberare dall’angoscia, dalla paura, dall’ignoranza, dalla menzogna, dalle molte forme di oppressione causate dal potere. 
Nel nostro tempo l’educazione comporta anche di liberare le coscienze e le energie per diventare protagonisti della conversione di civiltà che consiste nel passare da un modello necrofilo di cultura e di società a un modello biofilo. 

la tentazione dell’aggiustamento 

Era inevitabile che – per l’assuefazione generale alla vecchia mentalità e per gli interessi delle oligarchie globali – si tentasse di mettere una pezza sulle lacerazioni della società attuale, cercando anzi di rafforzare il sistema economico e il tipo di civiltà esistenti. Di qui la fortuna di termini ambigui come: sviluppo sostenibile, innovazione, flessibilità, competizione, transizione green, resilienza. Ma verifichiamone l’attendibilità. In realtà lo «sviluppo» e la «crescita» sono un mezzo relativo, non il fine dell’impegno umano nella storia. Il fine è l’armonia: giustizia nella società e pace anche con la natura. La sostenibilità è un termine ambiguo: implica che noi e la natura stessa dobbiamo «sostenere» il peso di un’economia che serve solo a moltiplicare il capitale a qualsiasi costo. In effetti dovrebbe essere l’inverso: l’economia deve sostenere la vita umana e gli equilibri naturali. In ogni caso oggi il nostro problema non è semplicemente la sostenibilità, è la salvezza storica dell’umanità e delle creature viventi. 
A sua volta la cosiddetta «innovazione» è un’operazione ideologica, perché si fonda sull’illusione secondo cui la tecnologia risolverebbe tutti i problemi, senza vedere che la nostra responsabilità etica è più decisiva e che la prima vera innovazione nella condizione umana è data dalle nuove generazioni. Inoltre, l’appello alla flessibilità è intimidatorio: chiede di adattarsi a qualsiasi cosa pur di restare graditi al Mercato. Molto meglio la creatività. Come molto meglio della competitività è la generatività. L’illusione complessiva sta nel ritenere che per andare avanti sulla vecchia strada basti una riverniciata green al capitalismo. 
E la «resilienza» che altro è se non la capacità di adattarsi al modello vigente di società senza provare a trasformarlo? 
La pandemia e gli altri disastri sociali, economici e politici della nostra epoca dicono che c’è una contraddizione di fondo tra la logica dominante nel mondo e la logica della vita. L’umanità si salva e si rinnova solo se riconosce e segue quest’ultima. 

elevarsi alla logica della vita 

Per tutti, e in particolare per chi svolge un’opera educativa, vale l’urgenza di cambiare orientamento nel modo di esistere per elevarsi sino alla sintonia con la vita. L’errore originario della nostra civiltà sta nell’aver fondato la vita intera sul potere. Michel Foucault parla di «biopotere» per indicare il progetto moderno di sottoporla a un controllo assoluto. Ma il biopotere è iniziato molto prima: l’uomo ha sempre creduto nel potere come condizione per affermarsi sulla vita. Ora siamo al capolinea: tale credenza, portata all’estremo, ha rivelato la sua indole necrofila. Ci troviamo nella condizione di imparare anzitutto che il senso, la logica e la saggezza non vengono introdotti nel mondo dalla mente umana, perché in realtà sono già inerenti alla vita stessa. La sua logica ha quattro leggi essenziali. 
La legge di gratuità: ogni vivente è un dono, cioè una presenza di valore non riducibile a calcoli di denaro, di interesse, di merito o di colpa. Ogni dono così inteso (qualunque sia la sua origine, semplicemente naturale o divina), a partire da noi stessi e della nostra esistenza, ci costituisce responsabili: la responsabilità è l’adesione alla vita. Un’adesione che chiede di accoglierla, di armonizzarla e di condividerla. 
Di prendersene cura. Perché – sia chiaro – quella della vita non è una logica chiusa, rigida, perfetta; è aperta, problematica, chiede l’esercizio della responsabilità e della creatività armonizzatrice alla coscienza e all’azione degli esseri umani. Non sto proponendo alcun naturalismo romantico o biologismo, sto delineando un’etica biofila. 
La legge della relazione: ogni vivente è fatto di relazione ed è in relazione con tutti gli altri. Di conseguenza il fine congruente con il fiorire della condizione dell’umanità e della natura non è la crescita o lo sviluppo, è l’armonia dell’intero sistema delle relazioni. 
La legge del paradosso: la vita ci chiede di tenere insieme precarietà e apertura all’eterno, fragilità e creatività, sofferenza e capacità di felicità, senso di sé e generosità, capacità di abitare il mondo e capacità di mettersi in cammino, nascita e morte. Chi vuole uniformare tutto entro una razionalità univoca (come fa il capitalismo) va contromano rispetto alla vita stessa. Piuttosto dobbiamo cercare di fare fronte solidalmente ai passaggi tragici dell’esistenza. 
La legge del rinnovamento: la vita si rinnova sempre e ci chiede di seguire le sue stagioni prendendoci cura delle generazioni nuove e adottando uno stile di esistenza transitivo, mai autocentrato. Nelle dinamiche del mutamento coesistono il conflitto e la competizione. Il primo tende a essere generativo, serve a trovare una condizione migliore per tutti. La competizione invece è necrofila, segna la vittoria di qualcuno e l’eliminazione degli altri, lacera le relazioni. Spetta alla responsabilità umana l’opera di armonizzare tale divergenza facendo prevalere i conflitti generativi sulla competizione. 

criteri per l’educazione liberatrice 

Chiunque svolga un’opera educativa ha modo di concretizzare la propria scelta biofila dando seguito ad alcuni criteri di fondo. Il primo criterio chiede di promuovere la visione della vita. Infatti l’educazione ha la sua ispirazione, la sua vocazione, la sua passione solo se sa vedere la vita stessa e, proprio per questo, crede nelle nuove generazioni e ne coglie il valore inestimabile. 
C’è un secondo criterio essenziale da assumere: curare con impegno sistematico la formazione etico-affettiva delle persone. L’educazione infatti ha il compito di affinare la cultura dei sentimenti e di contribuire al risveglio della coscienza morale. In particolare è necessario che chi sta crescendo sia accompagnato a oltrepassare lo stadio narcisista della sua evoluzione e a vincere l’illusione individualista. 
Il terzo criterio sta nel coltivare i saperi inclusivi, nel senso dato a questo aggettivo da Mohandas Gandhi. Nel lessico corrente «inclusione» è il contrario di «esclusione», ma in questi termini c’è sempre implicato il verbo «chiudere». È meglio servirsi del termine reciprocità: ognuno viene accolto e può partecipare a dinamiche di libera condivisione. Invece l’inclusività nel senso di Gandhi è l’integrità del legame tra i soggetti, il sentire, il pensiero, l’agire, il sapere e la vita. Si evita ciò che è scisso e dicotomico. I saperi inclusivi sono orientati all’armonia, non al dominio né al formalismo. 
Infine, il quarto criterio chiede di dare a chi si sta formando gli strumenti per il governo delle proprie situazioni esistenziali. Alle generazioni nuove (e in certa misura a tutti) vanno dati gli strumenti per esercitare l’arte di governare i processi e i contesti della vita. Se il potere è imposizione, il governo è armonizzazione. 
Il legame tra educazione e liberazione è costitutivo e irrinunciabile. Solo persone che lo sperimentano in se stesse potranno davvero svolgere un’azione educativa che sia capace di futuro.
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